martedì 4 agosto 2015

Nodi (9)

Aveva fatto finta di non notare che Antoneta lasciava il suo numero all’ispettore, mentre se ne andavano. Anche Rana aveva diritto alla sua dose di scelte infelici. Lo mollò in piazza Verdi, davanti alla sede della polizia postale, e proseguì verso la questura.
Meno di mezz’ora più tardi la squadra era riunita e pronta a entrare in azione, Rana aveva telefonato per dargli l’ubicazione del cellulare di Mastrangelo Emiliano e Sensi iniziava a sperare di non dover passare la domenica in un ufficio con l’aria condizionata spenta.
«Non ho capito come fai a essere sicuro che sia lui» borbottò la Riu, quando Sensi raccontò come aveva trovato il biglietto del rapitore.
«Io mi sarei limitato a incrociare le dita, ma Marco ha pensato di cercare il suo profilo Facebook. La faccia è la stessa».
Mainardi scosse la testa, disgustato. «Cioè uno dell’AISI sarebbe su Facebook?».
«Il mondo è pieno di rapitori improvvisati, sono d’accordo. Non c’è più la professionalità di una volta, quando ti facevano trovare solo il cadavere del rapito, dopo uno o due mesi, e spesso neanche quello» concordò il commissario, in tono sentenzioso. «Bene. Andiamo? Hai pensato al mandato, Max? Avete tutti il giubbottino?».
Con il caldo che c’era il giubbotto antiproiettile rischiava di diventare la causa della loro morte, invece che della loro sopravvivenza, ma dopo un giro di consultazioni avevano deciso che preferivano un colpo di calore al un colpo d’arma da fuoco.
Sensi salì in macchina con Tudini, mentre la Riu e Mainardi chiudevano la piccola carovana di auto blu e bianche.
Secondo Rana Emiliano Mastrangelo, o almeno il suo cellulare, era in una villetta monofamiliare al Limone, che poi era anche il suo indirizzo di residenza.
«Continua a sembrarmi troppo facile» disse Tudini, mentre guidava verso il quartiere periferico. «Nemmeno un idiota porterebbe a casa sua la persona che ha rapito».
«Sono d’accordo» sospirò Sensi. «Speriamo che sia un idiota colossale, quindi, perché non considero un’opzione dover venire in ufficio domani. Preferisco confessare di averla rapita e sgozzata io, Carlotta Marrano».
Tudini sospirò pesantemente. «Magari piove. Dicono che domani piove».
«Lo dicono da due settimane. Non credo più nella pioggia, credo solo nell’aria condizionata».
L’altro guardò il cielo grigiastro, basso. «Prima o poi...» borbottò, fatalista. «Sei sicuro dell’indirizzo?» chiese, per l’ennesima volta. Dato che avevano esaurito la conversazione sul meteo tanto valeva tornare a preoccuparsi per l’operazione in corso.
Sensi capiva perfettamente lo scetticismo del suo vice. Silenziosamente lo condivideva, perché per quel che ne sapeva lui i colpi di fortuna, come la pioggia, non arrivavano mai, mentre i colpi di sfiga capitavano sempre.
Ma quell’indirizzo, tanto per cambiare, era tutto quello che avevano e se non fossero riusciti a ritrovare Carlotta Marrano Salvemini si sarebbe incazzato in ogni caso.
«Dell’indirizzo sono sicuro. Non sono sicuro che non ci sia solo il cellulare di Mastrangelo. Male che vada gli sfasciamo la casa per ripicca. Dunque...» aggiunse, rifacendosi la crocchia, «...tu resti fuori a coordinare le squadre. Io passo dal davanti con cinque agenti, Mainardi e la Riu passano da dietro con la seconda squadra. Semplice e...»
Si fermò prima di dire “semplice ed elegante”, visto che l’ultima volta in cui l’aveva fatto si era trovato semi-dissanguato e crivellato di pallottole.
«Potrebbe anche funzionare» concluse, con un’inelegante palpata ai coglioni.
Tudini si diede una bella palpata a sua volta e girò a destra nella via di Mastrangelo. Dietro di loro due delle volanti li seguirono, mentre le altre proseguirono per andarsi a piazzare sul retro.
Sensi distolse lo sguardo dallo specchietto retrovisore per tornare a guardare davanti a sé. Poi chiuse gli occhi e sospirò.
«La casa è quella, eh?» fece Tudini.
«Già. Quella con Giorgio Marrano davanti».

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