«Mi prende per il culo?» furono le prime
parole di Sensi, non appena Marrano ebbe abbassato il finestrino della BMW
sedan in cui si era appostato. Il soffio dell’aria condizionata accarezzò la
faccia del commissario, facendolo pentire una volta di più di non essere morto
quella mattina. «Che cosa ci fa qua?».
Marrano sembrò imbarazzato. Iniziò a
sudare, ma quello probabilmente dipendeva dall’afa.
«Antoneta ha letto il nome sul biglietto
da visita. Ho pensato che fosse, sa... lui. L’amante. Così ho cercato il suo
indirizzo in internet e...»
«No, guardi, faccia conto che fosse una
domanda retorica. Non voglio saperlo davvero.
Si limiti a scomparire mentre noi sfondiamo la porta, picchiamo un innocente e
spariamo per errore al cane dei vicini».
Marrano sbatté lentamente le palpebre,
segno che non aveva capito.
«Scompaia» riepilogò Sensi. I suoi
occhi, per un istante, diventarono color sangue.
L’altro, spaventato, fece per girare la
chiave, ma il commissario fece segno di no con la testa. «Scenda e si allontani
a piedi».
«Ma è...»
«Caldo, lo so. Ho un fottuto giubbotto
antiproiettile addosso, si figuri se non lo so. Adesso vada».
Marrano barcollò fuori dalla sua
macchina e si allontanò con passo strascicato.
Tudini lanciò un’occhiata a Sensi,
un’occhiata che significava che sapeva benissimo che non c’era nessun bisogno
di far andare via a piedi il povero sfigato, ma che capiva le debolezze del suo
capo e lo stimava anche se a volte era un brutto essere umano.
Davanti a loro c’era la villetta
monofamiliare di Mastrangelo. Era una costruzione a un solo piano, senza
giardino anteriore. Le finestre avevano le tapparelle abbassate.
«Okay, vediamo di procedere» borbottò
Sensi, di cattivo umore. Il sudore aveva iniziato a gocciolargli giù dalla
punta del naso. Plick, plick.
«Voi due, dietro di me. Tu, tu e tu:
coprite le finestre».
Plick,
plick.
«Riu, mi senti? Sto per fare irruzione
dalla porta principale. Tenetevi pronti».
Plick,
plick.
“Non si può lavorare in questo modo,”
pensò, avvicinandosi all’ingresso e cercando di detergersi il sudore con il
braccio. “Dovrebbero vietare i rapimenti in agosto”. Tirò fuori la pistola e
controllò che ci fosse il colpo in canna. Si accostò al portoncino di legno
bianco e fece segno ai due agenti con l’ariete di procedere.
Quelli presero la rincorsa e sfondarono
il portoncino. Il rumore del legno fracassato e della serratura che cedeva fu
forte come un colpo di fucile.
«Polizia!» gridò Sensi, solo a quel
punto. Poi si buttò dentro il vano ormai vuoto della porta, pistola in pugno e
naso gocciolante.
Plick,
plick.
Un ingresso nemmeno brutto. Pareti color
avorio, mattonelle verde scuro. Un caldo bestiale, disumano, prova provata che
chiunque abitasse lì era un malato mentale. Sensi si rese conto che le finestre
erano aperte, ma le tapparelle chiuse rendevano del tutto inutile questo
accorgimento.
Un istante dopo vide comparire il
proprietario. O, insomma, quello che probabilmente era lui; difficile a dirsi,
in quel momento.
Uscì dalla porta in fondo al corridoio e
fece qualche passo nella sua direzione.
Sensi gli puntò l’arma contro per puro
riflesso, ma per il resto era senza parole. L’uomo che aveva sotto tiro
indossava una specie di passamontagna di vinile nero con una cerniera al posto
della bocca. Oltre a questo delizioso accessorio, portava un perizoma di pelle
nera molto succinto, aveva una serie di cinghie allacciate sul petto, dei
gambali da cowboy di vinile nero e degli stivali texani. Aveva anche un fisico
pazzesco, con una tartaruga che nemmeno i modelli di Dolce e Gabbana e bicipiti
scultorei. D’altronde, rifletté Sensi, solo un übermensch sarebbe riuscito a tenersi addosso dei gambali di vinile
in quell’appartamento surriscaldato.
«Amico, resta fermo» disse.
Rumore di passi di corsa dalla porta sul
retro e, un istante dopo, fece la sua comparsa pistola in pugno anche la Riu.
Guardò l’incappucciato e poi guardò lui.
«Non ci credo» borbottò.
«Sei Emiliano Mastrangelo?» chiese
Sensi.
«S-sì... e voi?» fece il tizio, con la
voce un po’ deformata dalla maschera.
Sensi si rilassò. «Polizia di stato.
Dov’è Carlotta Marrano?».
L’uomo, muovendosi molto lentamente,
indicò il corridoio dietro di sé. «I-in camera».
Sensi fece segno alla Riu di seguirlo,
mentre il resto dell’esercito che aveva fatto irruzione in quella casa
continuava a tenere sotto tiro Mastrangelo. Percorse tutto il corridoio e
scostò con il gomito la porta semi-aperta della camera da letto.
Carlotta Marrano era lì, il
fetish-cowboy non aveva mentito.
Era nuda, tranne per un bustino di latex
con due buchi per le tette, ed era legata al letto in una posizione
inequivocabile. In bocca aveva una bella pallina di gomma rossa, tenuta ferma
da un laccio. Tutta roba da sexy shop, niente di improvvisato.
Sensi prese la radio e chiamò Tudini.
«Max, qua tutto a posto. L’ostaggio e
vivo e in salute. Fammi solo un favore: non fare avvicinare Marrano, okay?».
«Sì, Ermanno» rispose Tudini.
«È viva? È viva? Amore, sei viva?» sentì
gridare in sottofondo.
Sensi sospirò e rinfoderò la pistola.
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