venerdì 30 novembre 2012

Hardcore - 3


Circa sei mesi dopo, l’aveva chiamato una certa Aurora. Sensi aveva un unico deposito mentale per le tizie con cui era andato o non era andato a letto e la cosa gli aveva già procurato problemi in passato.
Quando quella certa Aurora l’aveva chiamato, quindi, Sensi ci aveva messo ben più che qualche minuto a ricordarsi chi fosse, che faccia avesse e se ci aveva fatto sesso oppure no. Sembrava di no.
Aurora non l’aveva chiamato per quello, comunque.
«Tu sei un commissario, giusto?» aveva esordito.
«Già. Commissario straordinario per la tutela delle specie ittiche» aveva provato a disimpegnarsi lui.
«No, scusa... tu sei un commissario di polizia, me lo ricordo benissimo» aveva replicato l’altra, che probabilmente aveva dei depositi mentali che assomigliavano a uno schedario della CIA.
Sensi aveva ammesso di esserlo.
«Oh, bene. Ho uno stalker» aveva concluso Aurora, soddisfatta.
Sensi aveva imprecato mentalmente e le aveva detto di passare in questura, dove avrebbe potuto appioppare il suo caso a qualcun altro. Questo, però, non l’aveva detto.
«No, vedi... è sotto casa mia. Non posso uscire» aveva spiegato lei.
Sensi non le aveva chiesto perché non avesse chiamato il 113. Era passato direttamente al punto successivo: «Che cosa sta facendo?»
«Niente. Sta lì, accanto alla sua macchina». Il che spiegava anche perché non avesse chiamato il 113. Stare lì, accanto alla propria macchina, non era un reato.
«La macchina è in divieto?».
Un breve silenzio. «Che cosa c’entra? No, comunque non è in divieto».
Sensi aveva sospirato. «Non ho mai fortuna. Vabbe’, vengo».
Era arrivato alla Chiappa venti minuti più tardi, dopo aver provato l’ebbrezza di percorrere a passo d’uomo la Spallanzani, la galleria che collegava le due prime periferie della città. Lui sì che aveva lasciato la macchina in divieto.
Mentre passava, aveva osservato lo stalker. Un tizio piuttosto normale, sui trentacinque. Un tizio troppo normale, per l’Aurora che infine Sensi aveva ricordato.
Lei gli aveva aperto il portone e lui era salito.
La coinquilina, una tizia un po’ sovrappeso che sembrava agli antipodi rispetto ad Aurora, stava uscendo.
«Puoi aspettare un attimo?» aveva chiesto Sensi. L’altra si era dichiarata subito entusiasta, segno che non vedeva l’ora di farsi gli affari di qualcun altro.
Sensi era andato in cucina e si era appoggiato al tavolo. «Ok, chi è il tizio?» aveva chiesto.
«Ma tu sei un poliziotto?» era intervenuta la coinquilina, scettica.
Sensi aveva alzato gli occhi al cielo. «Saltiamo questa parte, che ne dite? Sì, sono un poliziotto. Ogni mese ricevo uno stipendio per non fare niente e opprimere gli innocenti, anche se non è chiaro come possa opprimere qualcuno senza fare niente. Chi è il tizio? E, già che ci siamo, come ti chiami tu? Che cosa fai nella vita?».
La coinquilina aveva sgranato gli occhi, stupita. «Io sono Giada e nella vita faccio la studentessa. Vengo da Rovigo. Sono iscritta a ingegneria navale».
Sensi aveva sventolato una mano, come a rimuovere quelle informazioni irrilevanti. «Chi è il tizio?» aveva chiesto, per la terza volta.
Aurora aveva incrociato le braccia. Quel giorno aveva una felpa dell’ALF, il che non deponeva proprio a suo favore, dal punto di vista di Sensi. Non che ce l’avesse con chi voleva liberare gli animali, solo, non gli sembrava una priorità in un mondo in cui c’erano da liberare ancora un certo numero di esseri umani.
«È uno» aveva spiegato Aurora. «Lo conosco da un tot di tempo e non me lo sono mai filato. Poi l’ho rincontrato al bar dove vado a prendere il caffè quando esco dal turno della mattina. Abbiamo un po’ chiacchierato, roba del genere».
«Abbiamo un po’ chiacchierato vuol dire che ci hai parlato o che ci hai scopato?» aveva chiesto Sensi, cercando di velocizzare la cosa. Non capiva la necessità degli eufemismi, non l’aveva mai capita.
«Be’, ci sono andata a letto, ma dopo. Voglio dire, dopo un po’. Ma non eravamo compatibili».
“Certo, quello sembra un tizio normale” aveva pensato Sensi, privatamente, ma non aveva detto niente.
«Comunque, lui, Riccardo Manna, ha iniziato a telefonarmi ecc. A proposito, tu non mi hai telefonato» aveva aggiunto lei, come se fosse perfettamente pertinente.
«Sono io ad aver lasciato il mio numero a te, non il contrario» aveva precisato Sensi. «Non sono portato per lo stalking, troppo sbattimento. Dunque, Riccardo inizia a telefonarti. Che genere di telefonate?».
L’altra si era mordicchiata un labbro. «Normali, all’inizio. Come stai, che fai stasera, usciamo insieme... poi un po’ meno normali. Come sei bella, non riesco a dimenticarti... e altre cose un po’ più spinte».
Sensi aveva sospirato. Eufemismi. Sempre in agguato. «Più spinte» aveva ripetuto.
«Tipo, cose che voleva fare con me, ok?».
Sensi si era stropicciato un occhio. «Violente?».
L’altra era sembrata in imbarazzo. «Be’, non proprio. Esplicite, diciamo».
«Esplicite». A Sensi erano venuti in mente i film di Bollywood, in cui qualsiasi riferimento sessuale veniva rappresentato con un’immagine simbolica. Si era rassegnato. «Potremmo definirle telefonate sconce?».
«Sì».
«Molestie sessuali?».
«Sì».
«E come mai è qua sotto?».
«Aspetta, non ti ha ancora raccontato dei kleenex!» aveva interrotto la coinquilina. Sensi l’aveva guardata. «Kleenex?».
«Le infila dei kleenex usati nella cassetta delle lettere. Cioè, ci infila, perché la cassetta è anche mia».
Sensi aveva represso coscienziosamente una risata. «Volete dirmi che si masturba e poi mette i fazzolettini sporchi nella cassetta?» aveva chiesto.
In risposta, le due avevano annuito contemporaneamente, serissime.
«Si piazza qua sotto in macchina, no? Per lo più sta fuori e guarda, anche tre-quattro ore al giorno. Ogni tanto entra dentro e poi riemerge con dei fazzolettini usati. Li mette nella cassetta delle lettere, se qualcuno gli apre, se no li lascia sul gradino. Ma io dico... se gli aprono, come faccio a sapere che un giorno non me lo ritroverò sul pianerottolo?».
Era una preoccupazione fondata e Sensi aveva annuito. «Avete tenuto qualche fazzoletto?» aveva chiesto, senza nutrire particolari speranze.
«No! Che schifo!» aveva risposto, infatti, immediatamente, Aurora.
«Hai registrato qualche telefonata?».
«No... voglio dire, ho cambiato numero».
«Quindi non ti telefona più».
«Be’, no. Non lo conosce, il numero nuovo».
«Fruga nella tua spazzatura?».
Aurora era sembrata perplessa. «Non so. Non credo. La butto nel bidone laggiù, insieme a tutti gli altri sacchetti».
«Ok, ti dico che cosa farai. Primo, i prossimi kleenex dovete tenerli. Infilatevi un paio di guanti e metteteli in una busta per conservare gli alimenti. Secondo, riprendetelo. Terzo, fossi in te, farei in modo di fargli riavere un numero di telefono, per poi registrarlo. Puoi denunciarlo per stalking in ogni caso, ma se porti qualche prova è meglio. Otterrai un provvedimento restrittivo da un giudice. Poi potremo farlo sloggiare con le cattive».
Aveva tirato fuori il cellulare e composto un numero. «Per il momento, proviamo a farlo sloggiare con le buone. Ma tornerà».
Aveva chiamato un’autopattuglia in modo che gli agenti provassero a parlare con Riccardo l’Uomo dei Kleenex, sapendo già che non sarebbe servito a niente.

Continua...

2 commenti:

Antar ha detto...

Stavo per scrivere No, va be', ma questi Sensi dove li trova?.
Poi ho pensato che facevo pirma a chiederti No, v a be'?, ma questi come ti vengono?
Te li inventi tu o esistono sul serio?

[Era un modo per dire che -anche- questa puntata ha un solo difetto: Terribilmente troppo breve.]

Susanna Raule ha detto...

il parere della psicologa: "la gente è strana".
felice che per il momento ti piaccia! :)