lunedì 7 novembre 2011

Pierrot - 8

Per le tematiche trattate, si consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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Mi svegliarono i raggi del sole e il caldo della casa. Le lenzuola erano ancora fresche, in alcuni punti, così mi rigirai nel letto. Liz respirava lentamente, leggera, stesa sopra al letto nella sua abbagliante, nuda bellezza.

Ancora una volta provai l’impulso di possederla, malgrado non mi fossi ancora ripreso dalla sera precedente. Mi si induriva a metà, poi il dolore lo faceva afflosciare, poi si induriva di nuovo. Alla fine prevalse il desiderio e, pronto, le saltai sopra e le affondai dentro con una spinta.

Questa volta urlai.

Lei aprì gli occhi, presa alla sprovvista dall’improvvisa intrusione, e guardò la mia faccia contratta e sofferente. Ma non potevo farci niente, dovevo continuare, appena il dolore scemava davo un colpo, poi gemevo, poi davo un altro colpo.

Anche lei soffriva, lo vedevo da come stringeva gli occhi, ma era più abituata di me.

“Che male…” le soffiavo nelle orecchie. “Che cazzo di male… questa maledetta fregna mi ammazzerà prima che ti ammazzi io… stronza di una troia bellissima… e stronzo di un assassino arrapato… merde!”

Merde!” ripetei. “Nom de dieu de putain de bordel de merde de saloperie de connard d'enculé de ta mère!

E poi ululai di dolore, mentre mi svuotavo dentro di lei, e ognuna delle sue contrazioni mi faceva vedere l’inferno.

Uscii e mi guardai il membro, preoccupato. Era di un brutto colore rosa acceso, leggermente insanguinato.

“Cazzo…” mormorai, tornando all’inglese. “Devo assolutamente metterlo a mollo nell’acqua dolce.”

Liz mi guardò e rise, la puttana.

“Vieni con me,” mi disse, scendendo dal letto e prendendomi per un polso. Le barcollai dietro e se dovessi giurare che le sue chiappe che si muovevano mi lasciavano indifferente mentirei di brutto.

Mi portò in bagno e aprì l’acqua nella doccia. Questa scese tiepida, per essere stata sotto al sole, nella cisterna.

Mi pulì con attenzione (facendomi un male cane). Lampeggiavo di dolore, ero gonfio e contuso, eppure rischiavo a ogni istante di ricascarci. Mi lasciò sotto la doccia e tornò con una pomata. Me la stese con mani leggere sul membro e sentii una piacevole freschezza invadermi.

“Però devi startene fermo per un po’, okay?” mi sorrise.

“Amore, non posso. È una maledetta tortura, ma guardalo…”

Lei mi baciò sulla pancia. “Te lo prenderò in bocca” disse. “Ma piano piano.”

Mi appoggiai contro le piastrelle del bagno mentre lei lo faceva. Usò solo la lingua e solo sulla punta, e davvero pianissimo, ma venni lo stesso.

Iniziavo a pensare di essere malato. Era un comportamento semplicemente autodistruttivo e dovevo assolutamente piantarla.

E, cazzo, so cosa stai pensando, ma non volevo ucciderla senza prima averla fottuta almeno una volta per bene, con tutti i crismi e senza ululare di dolore.

“Perché non mi hai uccisa, ieri sera?” mi chiese lei, come se mi leggesse nel pensiero. Ma naturalmente non lo faceva.

“Hai avuto paura,” mentii.

“E non hanno sempre paura, le tue vittime?”

“Tu non ne avrai.”

“Ed è normale che tu continui a chiacchierare con me, a diventarmi amico ?”

Io risi, questa volta genuinamente divertito dalla sua ingenuità.

“Sono gli amici quelli che si uccidono con più gusto, amore mio.”

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