domenica 6 novembre 2011

Pierrot - 7

Per le tematiche trattate, si consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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In cucina stappai due bottiglie di birra, e gliene tesi una. Lei la prese e bevve una lunga sorsata dal collo. Gocciolavamo per terra, così uscimmo di nuovo e andammo a sederci sulla veranda. Io stesi un asciugamano pulito sul pavimento di legno e mi accomodai lì, con la schiena contro il muro caldo della casa.

“Sei un uomo incomprensibile, lo sai Pierre?” mi disse lei.

“Sì,” risposi.

“Scommetto che ognuno dei tuoi omicidi è un capolavoro,” aggiunse, lei.

“No, questo non è vero. Ho ucciso tanta gente senza nessuna ispirazione.”

“Che cosa intendi per ispirazione?”

Sorrisi. “Quando senti che quello è esattamente il momento giusto e il posto giusto e il modo giusto.”

“E se non è il momento, e il luogo, e il modo giusto?”

“Allora li accoppo lo stesso.”

“Mi ucciderai solo quando avrai l’ispirazione?” chiese lei, titubante.

“Ma l’ho già avuta, amore mio. In albergo. Non ci pensare. Quando sarà il momento lo saprai da sola.”

Lei chiuse gli occhi e, credimi, era ancora più bella.

“Non riuscirei mai a uccidere qualcuno. Ci ho pensato, sai? Ma non ne sarei capace.”

“Lo so,” sussurrai. “Tu sai solo morire. Sarà quello il tuo capolavoro.”

“Forse sono già morta. Molto molto tempo fa.”

Risi, ma senza allegria. Qual’era quella canzone? I thought, you died alone… a long long time ago…

La canticchiai tra i denti, credo, perché lei aggiunse: “Già. L’aveva già detto David Bowie.”

“E io non perdo mai il controllo,” dissi, spolverandomi via un po’ di sale secco dalle gambe. “Davvero pensi di essere già morta?”

“Perché no? Magari non me ne ricordo e basta. E poi perché dovrei sopravvivere? Sono utile solo agli altri. Ogni uomo che mi monta si sente il padrone del mondo.”

Mi sorrise. “Se posso scoparmi lei posso fare tutto.”

“A dire il vero avevo l’impressione che bastasse pagare. A volte neanche quello, basta prenderla una donna come te. Non si lamenta, si limita a rifulgere di bellezza, come un tizzone di stella che esala gli ultimi bagliori nel tuo letto.”

“Sei poetico, Pierre. Poetico e triste, come un Pierrot. Potrebbero chiamarti così, sai?”

Io risi forte, questa volta. “Mi ci chiamano già!”

Lei si voltò a guardarmi, i suoi occhi allungati che scintillavano, dello stesso blu del cielo. “Non assomigli a Pierrot,” disse. “Assomigli ad un lupo biondo e affamato. A un predatore intelligente, che trotterella leggero dietro alla sua preda.”

Risi di nuovo.

“Sai cosa dicono dei grandi felini della savana? Che la gazzella li guarda in silenzio, forse per mezzo secondo, affascinata dalla loro bellezza. Rimane… a bocca aperta, no? E in quel mezzo secondo il leone le salta al collo e la uccide. Mi piacerebbe assomigliare a un leone, invece sono solo un vecchio lupo affamato, col pelo sciupato e le costole sporgenti. La gente mi fissa e non rimane un attimo a guardarmi. Pensa: questo mi uccide. Subito.”

Liz mi fissò in silenzio.

“Dev’essere gradevole,” disse, alla fine.

“Immagino che sia più gratificante che veder scorrere negli occhi di chi ti guarda la voglia folle di mettertelo dentro.”

“Ma io non servo a nient’altro, Pierre. È esattamente quello che sono: un ricevitore. Sono nata per avere il vostro cazzo dentro, e per nessun altro motivo. Perché Dio mi avrebbe fatta così desiderabile, se no? Se mi guardi bene non sono bella, ho milioni di difetti. Ma se mi guardi ti è già diventato duro, e non te ne accorgi più.”

“Adesso non ce l’ho duro,” risi.

“Solo perché ti fa male. Ma ce l’hai duro nel tuo cervello.”

Dovevo ammettere che era vero. Non potevo guardarla senza avere superbe erezioni mentali.

“In ogni caso, vedi…” continuò lei, tranquilla “… se dovessi invecchiare e perdere questa mia strana bellezza, non servirei più a niente. Da un certo punto di vista, quindi, è giusto che tu mi uccida ora, o tra poco, prima che questo accada.”

Mi venne voglia di accarezzarle una guancia, ma mi trattenetti.

“Oh, stai sicura che Clyde e Lester, e Romano, e forse anche Santos, mi odieranno, per averti ammazzato. Non ci sarà pietà, per l’assassino, come è giusto che sia. Per aver distrutto la tua bellezza.”

“E cosa te ne importa? Nessuno di loro mi avrà posseduto, e tu sì.”

Scossi la testa, divertito.

“Buffo modo di possederti, non trovi? Distruggendoti.”

Lei si strinse nelle spalle. “È sempre stato così. Non è stato Napoleone a saccheggiare l’Egitto? Tuo connazionale.”

“Ci hanno provato un po’ tutti, da Cesare in su,” risposi. “Ti paragoni all’Egitto, ora?”

“A quello che è stato saccheggiato, non a quello che è rimasto.”

Mi limitai a guardarla, chiedendomi se Cleopatra assomigliava a lei. Forse sì. Doveva essere così, pensai, non c’era altra soluzione.

Lei si scostò i capelli dal collo e capii che me lo stava offrendo.

Scivolai verso di lei e le salii sopra, le mani che le si stringevano attorno alla gola, salde ma carezzevoli. Lei mi guardava e i suoi occhi tranquilli mi incitavano a rubarle il respiro.

E poi, per un istante, lei ebbe paura, una gran paura. Le ciglia le si riempirono di lacrime e provò a respirare. Allentai la stretta e le accarezzai le spalle, le baciai le labbra.

Ci unimmo ancora, stesi a terra su un asciugamano, sulla veranda, con grande dolore.

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