giovedì 3 novembre 2011

Pierrot - 4

Per le tematiche trattate, si consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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Ecco: questo era quello che sapevo di Liz dopo aver parlato con Don Giuliano. L’altra cosa che sapevo era che lui mi dava diecimila dollari per evitare che finisse di nuovo con uno dei suoi quattro ragazzi d’oro.

Adesso, vorrei chiarire un paio di cose. Di solito i miei contratti partono dai trentamila, ma persino io capivo che far secca una puttana, per quanto mi si dicesse che era bellissima, non era un lavoro da trenta pezzi da mille.

Specialmente visto che stava venendo in taxi nella camera d’albergo che gli uomini di Don Giuliano mi avevano riservato, da sola e disarmata.

Secondariamente Don Giuliano non mi aveva chiesto di ucciderla, solo di tenerla lontana dal cazzo dei suoi rampolli. Il vecchio si rendeva conto che eliminare una puttana disarmata sarebbe stata una macchia sul mio curriculum, così, in pratica, mi stava dicendo che se anche l’avessi imbarcata per un’isola anonima del Madagascar a lui sarebbe andato bene.

E comunque non potevo negare un favore al Don. Non se avessi voluto continuare a farmi i fatti miei in un buon numero di paesi del mondo, in ogni caso.

Quindi, alle tre di un sabato pomeriggio, mi trovai seduto su un letto di una stanza d’albergo, in cerca di ispirazione.

La stanza non era particolarmente adatta alle pensate brillanti, squallida com’era. È ovvio che portare un cadavere fuori dal Ritz è più complicato che farlo uscire da un motel, e questo lo sapevamo benissimo sia io che Don Giuliano.

Le pareti erano color muffa, il letto era tutto un nodo, coperto da una sorta di trapuntina rosa sporco davvero vomitevole.

Avevo dei problemi a appoggiarci il mio culo dentro ai jeans, figuriamoci pensare di dormirci dentro.

Cinque minuti prima avevo avvistato uno scarafaggio che caracollava soddisfatto e tronfio proprio davanti alla porta, come se fosse il padrone della baracca.

Insomma, la classica stanza di sotto-categoria in cui avevo lavorato tante volte, di quelle con la moquette macchiata e stinta, che viene cambiata solo quando io o uno dei miei colleghi la sporchiamo indelebilmente di sangue. E anche allora i proprietari ci pensano un bel po’.

Ammetto che lo scarafaggio mi aveva distratto, così, quando alle tre sentii bussare alla porta stavo ancora cercando ispirazione.

“Avanti,” dissi, dato che avevo lasciato aperto.

Quella fu la prima volta in cui la vidi, mentre si trascinava dietro una valigia trolley e con un grosso sacchetto di plastica nera con dentro i suoi vestiti. Mi sembrò un po’ stanca oltre che, naturalmente, bellissima.

Indossava un paio di jeans bianchi attillati, degli stivaletti neri col tacco e un maglione blu da marinaio.

Io me ne stavo seduto pacificamente sul letto, con le gambe penzoloni e l’aria vaga. Immagino che sembrassi un perfetto sfigato.

Lei mi guardò un istante, lasciò cadere il sacchetto, mollò la valigia e chiuse la porta.

Poi, senza dir niente, si sfilò il maglione e lo buttò sopra al resto della sua roba. Tranquillamente, si spogliò del tutto.

Mi aggiustai il cavallo dei pantaloni, perché la mia erezione cominciava a farmi male.

“Tu sei Pierre, giusto?” mi chiese lei, con vago accento britannico da sobborgo.

“M-mh,” non mi sbilanciai io.

“Il vecchio mi ha detto che mi ha venduta a te.” Si guardò mestamente intorno, probabilmente pensando che rispetto alle sue ultime sistemazioni era di nuovo caduta piuttosto in basso.

“Veramente mi paga lui,” corressi. Lei era sempre là, nuda davanti a me, hai capito? Devo dire, però, che – erezione a parte – stavo mantenendo un buon contegno.

Lei inarcò le sopracciglia.

“Vuoi dire che lui paga te per scopare me?” chiese, incredula. “E chi cazzo sei, Pierre?”

“Vieni un po’ qua, amore,” le dissi, senza rispondere.

Lei, rassegnata, si avvicinò, appoggiò un ginocchio a destra delle mie gambe, un ginocchio a sinistra, e mi spinse lentamente all’ingiù sulla trapunta lercia. A quel punto l’idea di appoggiarci sopra le mie chiappe nude non mi faceva più particolarmente schifo.

Liz mi sfilò i pantaloni e le mutande e prese in mano la mia erezione senza degnarla di una seconda occhiata. Non so che cosa pensasse esattamente sul mio conto, ma iniziavo a intuire che non mi aveva creduto, prima.

Sapeva di aver causato qualche problema e penso che immaginasse che io fossi qualche sfigato di basso rango a cui era stato fatto un grosso regalo a poco prezzo.

In effetti Don Giuliano mi aveva rifilato una grossa grana mal pagata, che era quasi lo stesso.

A ogni modo in quel preciso istante avevo altre cose a cui pensare. Mi attivai. Scalciai via una scarpa e finii di sfilarmi i pantaloni. Presi un preservativo dal portafogli, me lo infilai velocemente, rivoltai Liz a pancia all’aria e le entrai dentro.

Lei gemette per finta, io gemetti sul serio.

Mi aspettavo un ambiente oltremodo comodo, invece ci stavo piacevolmente stretto. Non una roba da quindicenne cinese, ben inteso, ma una fica da donna navigata media.

Non che avesse importanza. Fu tutto quello che c’era attorno a farmi venire dopo circa venti secondi. Che smacco.

Mi tirai i capelli sudati all’indietro, me la sfilai di dosso, tolsi il preservativo, annodai, sbattei in un angolo e mi tirai su calzoni e mutande in un unico gesto. Flash: l’uomo più veloce del mondo.

E a quel punto, con sotto di me, ancora nuda, calda e con le gambe aperte, quell’incredibile pezzo di figa, ebbi l’ispirazione.

Avrei fatto il gran maiale.

Ossia: mi sarei sputtanato i diecimila del Don in un biglietto aereo per due, completamente riservato, fino alle Barbados. Lì, nella mia bella casetta su minuscola isoletta deserta, mi sarei rifatto dello smacco alla mia virilità in lungo e in largo.

Dopo di che, quando avessi avuto le spalle e le palle strinate dal sole e dalla fica, l’avrei accoppata e me ne sarei tornato a NY.

E questa, se te lo stai chiedendo, è la differenza che corre tra un maiale e un gran maiale. Un maiale e basta non l’avrebbe accoppata, per il bene di tutti gli altri maiali.

Però, anche se ancora non lo sapevo, io ero solo un grandissimo imbecille.