mercoledì 2 novembre 2011

Pierrot - 3

Per le tematiche trattate, si consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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Ora lascia che ti racconti come sono finito incastrato. C’entrava una donna, naturalmente, una donna diversa da tutte le altre, come dubitarne? Anche ora che sono incastrato su tutta la linea non posso descrivertela in altro modo.

Il suo nome era Amore. Non che sua madre e suo padre l’avessero chiamata così, ma questo era come avevano finito per chiamarla tutti gli altri.

“Amore, vieni un po’ qua,” oppure: “Fatti guardare, amore.”

Insomma, alla fine la chiamavano tutti così, tanto che alcune volte persino lei si presentava in quel modo. Se invece vuoi sapere cosa c’era scritto sulla sua patente, allora il nome che cerchi è Elisabeth-Mary.

Liz era nata meno di trent’anni prima in Inghilterra, a Newcastle, da madre irlandese e padre indiano. Come avrai già capito era semplicemente uno schianto.

Aveva i capelli neri e pesanti, lisci come se fossero bagnati e lucidi come la seta, occhi di uno strano colore tra il grigio e il blu, ma così scuri da sembrare quasi neri, sotto alcune luci. Il viso era un ovale perfetto, il naso leggermente all’insù, gli zigomi alti e la bocca piccola e sfrontata. Aveva la pelle bianca di quelli che non sono caucasici, così compatta e priva di imperfezioni da sembrare finta e da farti venir voglia di toccarla solo per sentirne la consistenza.

Le gambe erano lunghissime, le caviglie sottilissime, il sedere piccolo e sodo, i seni sembravano disegnati dalla mano di un grande artista.

Non sto esagerando: Liz era la cosa più bella che si fosse mai vista in circolazione, e lei lo sospettava.

A parte questo quello che sapevo su di lei era:

Era scappata dall’Inghilterra a quindici anni, facendo perdere le sue tracce negli States. Quando era arrivata a New York faceva già la puttana, e la faceva per la strada. Uno che lavorava per Clyde l’aveva “convinta” a passare sotto di lui. Da quel momento in poi Liz l’aveva data via per otto ore al giorno, poi, quando il tizio, folle d’amore, ne aveva fatto la sua donna, aveva iniziato a darla via sempre di meno.

Ma il tizio non era stato in grado di tenersela a lungo, perché il tizio sopra di lui le aveva messo prima gli occhi e poi le mani addosso. Così Liz aveva iniziato a darla solo a lui, finché inevitabilmente non l’aveva vista Clyde.

Come dicevo, Clyde è un bel tipo, oltre a essere pieno di soldi, quindi non ci mise molto a convincerla a scaricare il tizio precedente e a passare con lui.

Per quanto Clyde fosse incapricciato, però, non era uno di quelli capaci di tenerlo dentro ai pantaloni. Aveva sempre un mare di puttane attorno, e tutte gratis.

Al contrario del tizio precedente, inoltre, non era nemmeno geloso, sicché aveva prestato Liz a qualche amico suo, tra cui Lester.

E Lester non ha davvero paura di niente.

Un bel giorno si presenta da Clyde e gli dice: “Mi voglio comprare Liz. Quanto mi costa?”

Clyde non la prende per il verso giusto, non perché a quel punto di Liz gliene importasse qualcosa, ma perché gli sta sul cazzo l’idea che Lester volesse portargliela via.

E qui entro in ballo io.

Lester mi lascia un messaggio in cui mi chiede di fare secco Clyde. Lester è fatto così: impulsivo. Lo richiamo e gli spiego che non è possibile, a meno che Don Giuliano non gli dia il permesso.

Ma Don Giuliano non glielo dà, anche perché nel frattempo Liz se la sta scopando Romano. Lester e Clyde rimangono con un palmo di naso.

“Cazzo,” dice il primo.

“Merda,” dice il secondo.

Poi si stringono tutti e due nelle spalle.

Romano è un tipo preciso, ma suo padre lo tiene per i coglioni. E Don Giuliano è abbastanza vecchio da aver visto succedere un bel po’ di cose, ma che una bottana faccia parte della famiglia non lo vuole davvero vedere.

Così Romano butta Liz sulla strada, più o meno dove l’ha presa, e iniziano a succedere cose di tutti i tipi.

Lester parte da Harlem con la sua spider e Clyde parte dal Bronx con la sua. Santos, però, sta passando di lì col suo SUV BMW e, vedendo una povera ragazza in mezzo a una strada con un sacchetto pieno di vestiti e una valigia in mano, decide di caricarla.

Se la porta a casa e, di fatto, se la scopa anche lui.

Solo che Cora non gradisce neanche un po’.

Santos è molto innamorato di Cora, mentre di Liz non gliene frega niente. Il suo cervello analitico lo convince, quindi, a chiamare Don Giuliano e a chiedere il suo parere.

A chi deve restituire la puttana? A Clyde, a Lester o magari a Romano?

E a quel punto Don Giuliano, che ha già capito che razza di casini si profilano all’orizzonte, risponde: “Sigghioruzz’, a nessuno dei tre: spediscila a Pierrot.”

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