martedì 15 novembre 2011

Pierrot - 16

Per le tematiche trattate, si consiglia la lettura a un pubblico adulto.

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Siccome iniziavo a rompermi le scatole di brutto, quel pomeriggio mi dedicai all’alta cucina. Cioè, si fa per dire. In quanto scapolo a tempo indeterminato avevo imparato a cucinarmi tutta una serie di cose, ma in quanto uomo benestante mangiavo fuori spesso e volentieri.

Comunque: stesi della farina sul tagliere e aggiunsi sale e acqua. Impastai il tutto finché non diventò una massa morbida e compatta, aggiungendo il lievito.

Liz mi guardava con faccia stranita.

“Ehy, che cosa stai preparando?”

“Aspetta e vedrai.”

“Posso aiutare?”

“Ma certo. Prendi i pelati e buttali nel tritatutto.”

La vidi osservare la dispensa smarrita. “Quei pomodori senza buccia nella scatoletta,” spiegai. E che cazzo! Pelati: mica bisogna essere nati a Napoli per conoscerli.

Misi la mia pagnottella dentro una zuppiera e ci stesi sopra uno strofinaccio pulito.

Quando Liz riuscì ad aprire le scatolette e a versarne il contenuto nel tritatutto iniziai a preparare la pomarola.

Era semplice: bastava aggiungere uno spicchio di cipolla e del basilico. Sulla cipolla non ero tanto sicuro, ma il basilico non ce l’avevo. Diedi una bella shakerata col tritatutto, lasciando dei pezzi di pelato interi, qua e là.

Dopo di che annunciai che se ne sarebbe riparlato dopo varie ore e ordinai a Liz di non scoprire assolutamente la pasta.

Lei mi seguì come un cagnolino in spiaggia, dove si spogliò e si buttò in acqua. Sentii un rimescolio nelle mie parti basse, ma non mossi un muscolo per raggiungerla. Mi limitai a fissarla dalla riva con la bava alla bocca.

I suoi lunghi capelli neri rilucevano d’acqua e di sole, la curva perfetta dei suoi seni si stagliava contro l’azzurro del mare, la rotonda meraviglia delle sue natiche ondeggiava al filo dell’acqua.

Dannazione, potevo almeno asserire di essermi scopato la donna più bella del mondo. Come altri quattro milioni di tizi, d’altronde.

Quando riemerse gocciolante dall’acqua guardai altrove. Vedi, il mio ragionamento era semplice: me la scopo ancora e lei non dirà niente. Domani Romano le chiede se l’ho fatto e lei risponde di sì. Semplice. Quella tizia non era capace di mentire in modo convincente.

Lei venne a gocciolarmi vicino e io mi alzai e rientrai in casa. Senza dire una parola.

“Ti ho fatto arrabbiare Pierre?” la sentii chiedere, mentre mi seguiva come un cagnolino.

“No, Liz. È tutto ok. Volevo controllare la pasta.”

“Ma hai detto che non si può sollevare lo straccio…”

“Sì, ma si può capire se si è gonfiata come deve.”

“Ah. Si gonfia?”

Sì, maledizione, se continui a gocciolarmi davanti!

“Lievita, no? Quando ha finito di lievitare si può usare.”

“E quanto deve lievitare?”

Ancora un po’ e esplode, cocca!

“Bho? Cinque, sei ore, mi pare.”

“Ne sono passate solo due.”

“Ok, Liz. Adesso ascoltami: è bello che tu voglia aiutare, ma il cuoco sono io, va bene? Se voglio controllare la cazzo di pasta saranno fatti miei?”

Lei mi sembrò rattristarsi.

“Mi dispiace.”

Ecco, adesso era triste e quasi piangente, e continuava a gocciolare.

“Non sono arrabbiato!” esclamai. E poi, poco dignitosamente, me la diedi a gambe.

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