venerdì 6 agosto 2010

Quello che non sai - 6

Si svegliò alle quattro del pomeriggio e, mentre si sbarbava, notò che il suo occhio iniziava già a virare verso il giallognolo. Era stato un pugno fiacco, almeno questo. Anche lui si sentiva fiacco e, specialmente, non aveva nessuna voglia di tornare a Bellavista.

Ma Salvemini l’aveva preso per uno 007 prima maniera e aveva deciso che il compito di salvargli le chiappe dovesse toccare proprio a lui, tra tutti gli uomini di cui disponeva. Sensi non era in grado di rifiutare. Non dopo che Salvemini si era tappato per anni occhi, bocca e orecchie come una scimmietta sovradimensionata.

Si infilò una maglietta pulita dei Joy Division, dei jeans aderenti neri leggeri e i doc martens che costituivano la sua risposta al calore dell’estate. Uscì con i capelli ancora gocciolanti, conscio del fatto che si sarebbero asciugati ben prima di arrivare a Lerici.

Alle quattro e mezza del pomeriggio le strade erano così roventi da luccicare, ma questo non impediva a un gran numero di automobilisti di esibirsi nei soliti numeri da circo, ognuno chiuso dentro il suo bozzolo di aria condizionata.

Arrivato a Bellavista si sottopose nuovamente al controllo identità del video-citofono mono-direzionale.

Lia Vallambrini gli andò incontro avvolta in un impalpabile vestito color pesca. Anche in pieno sole, non sembrava in grado di sudare.

“Ermanno,” lo salutò, dandogli un bacio fresco e languido sulla bocca. Sensi rimase fermo, semplicemente, visto che non c’era niente che potesse fare. Lei non sembrava stupita di vederlo. Lei dava per scontato che sarebbe tornato.

“Dovrei parlarti del furto,” disse lui, seguendola dentro casa. La villa non aveva l’aria condizionata, ovviamente. L’aria condizionata era per i piccolo borghesi. La villa aveva i muri spessi, i soffitti alti e delle grandi ventole bianche che muovevano silenziosamente l’aria in tutte le stanze.

Lia Vallambrini lo guidò attraverso gli ambienti raffinati in modo quasi insopportabile, fino alla veranda sul retro, dove li attendeva un tavolo da esterni di legno, una caraffa di liquido in cui galleggiavano dei cubetti di ghiaccio, dei bicchieri, un posacenere e una ciotola di ciliegie circondate da altro ghiaccio. Sopra di loro c’era un fitto pergolato, davanti a loro la vista di tutto il Golfo dei Poeti.

“Non abbiamo già parlato, del furto?” chiese la Vallambrini, scivolando in una sedia.

“No, abbiamo fatto del sesso,” corresse Sensi, sedendosi a sua volta. “Questo sarebbe?”

“Orzata.” Gliene servì un bicchiere. “Non saprei proprio che cos’altro dirti, del furto.”

Sensi assaggiò, sospettoso. “Non pretendo che tu mi fornisca un elenco completo di tutti gli oggetti rubati, mi rendo conto che sarebbe chiedere troppo…” disse, dopo essersi accertato che, come immaginava, l’orzata era orrendamente dissetante.

“Non essere cinico, non lo so veramente,” lo interruppe lei, con aria indifesa.

“Già. E immagino anche che tu non mi dirai i nomi delle persone sui dvd.”

La Vallambrini corrugò appena la fronte. “Oh, sei ancora arrabbiato per quella sciocchezza…”

“Per niente. Ho sempre pensato che sarei stato un attore porno grandioso, se solo non mi avesse dato fastidio rasarmi le palle. Ma Salvemini non la vede nel mio stesso modo.”

“Sulla tua carriera nella pornografia?”

Sensi sorrise appena. “Sulla sua carriera nella pornografia.”

Anche la Vallambrini sorrise, innocente. “Non vuoi assaggiare una ciliegia?”

“Certo,” rispose Sensi, consapevole del fatto che dire sempre di sì non era una sua scelta. Prese una ciliegia e la mangiò. Fresca, polposa, rinfrescante. “Permettimi di essere pleonastico…”

“Il superfluo è quello che rende la vita degna di essere vissuta,” commentò lei, distratta. Si stava infilando lentamente una ciliegia in bocca. Molto lentamente. Troppo, se intendeva solo mangiarla.

“Non sono un esperto. Probabilmente neanche i ladri. O forse dovrei dire auspicabilmente. Auspicabilmente i ladri sono rumeni ignoranti che stanno usando i tuoi dvd semplicemente per farsi una sega, anche se non riesco a capire come qualcuno possa farsi una sega davanti alle chiappe di Salvemini, ad esempio.”

Lia Vallambrini continuò tranquillamente a mangiare la sua ciliegia e quello poteva tranquillamente essere materiale per una sega, pensò Sensi, spassionatamente.

“Ma potrebbero anche essere un po’ più furbi di così, ed è questo che preoccupa il questore. Una cosa è farsi ricattare da una donna ricca, annoiata e ninfomane, un’altra è farsi ricattare da un branco di comuni delinquenti. So che ti sembra incredibile, Lia, ma ci sono persone che non hanno idea di che cosa sia la distinzione.”

“Non mi sembra incredibile, Ermanno. Là fuori c’è un mondo crudele, questo lo so anch’io.” Voce leggermente tremante, indifesa, spaventata. La ciliegia era scomparsa, ma ne apparve subito un’altra. Chissà se il nocciolo della prima l’aveva ingoiato.

Sensi si limitò a guardarsi intorno.

“Dico sul serio,” aggiunse lei.

“Ma ci credo. Stavo semplicemente facendo una valutazione immobiliare.”

“Sei gretto,” lo rimproverò lei.

“A chi hai venduto la refurtiva?”

Lia Vallambrini scattò in piedi. “Che cosa?” esclamò, oltraggiata. Troppo oltraggiata.

“Potremmo rendere la cosa più semplice, se solo lo volessi,” commentò Sensi, senza muoversi.

“N-non capisco che cosa vuoi dire.” Era ricaduta a sedere, con gli occhi lucidi e le labbra tremanti.

“No?” fece Sensi, ingoiando un’altra ciliegia. “Allora posso andarmene.” Si alzò in piedi, sputò il nocciolo e lo lasciò cadere oltre la balaustra della veranda. Si avviò tranquillamente verso l’uscita.

La voce di Lia lo raggiunse quando era nell’atrio.

“Ermanno, aspetta.”

Si voltò. Ovviamente lei piangeva.

“Sai, inizio a sospettare che la storia sia più interessante di quel che credevo in un primo momento.”

“Ermanno, per favore…” Altre lacrime. Le sue mani che cercavano quelle di lui. Il suo corpo che cercava il suo abbraccio. Tutto perfetto, ovviamente. Tutto magnificamente melodrammatico, appena un pelo ridicolo.

“Tiri fuori il peggio delle persone,” le disse lui, “per questo il mondo ti sembra un posto così crudele.”

“Non so come fare…” singhiozzò sulla sua spalla, lei.

“Il problema è che credi di sapere perfettamente come fare. Ma non funzionerà. Credimi, ci sono già passato. Pensi di avere tutto sotto controllo, finché non ti accorgi che c’è sempre una cellula impazzita. Chi è in questo caso? Tuo marito?”

Altre lacrime.

“Resta con me… per favore…”

Sensi iniziò ad abbassare alla cieca la cerniera sul retro del suo vestito. “Scopami, è questo che intendi? Ma, davvero, non c’è alcun problema. Lo posso fare anche a occhi chiusi. Probabilmente è meglio, a questo punto.”

Lei si allontanò di scatto. “Perché devi essere così… sgradevole?”

Il vestito le era parzialmente scivolato giù, con un effetto non proprio elegante.

“Sgradevole? Finisci di spogliarti da sola. Sai come fare.”

Lei pianse ancora un po’, poi lasciò cadere il vestito. Un paio di slip color pesca. Le scarpe con il tacco alto, in tinta. Il petto sottile, nudo.

“Le scarpe puoi tenerle,” disse Sensi, guardandosi intorno. Un grosso vaso di ceramica, buono solo come arma contundente. Un soprammobile dalla forma astratta, inutile. Una pianta in vaso, troppo complicato. Era restio a usare la cintura, le avrebbe lasciato il segno. Continuò a guardarsi intorno. Lei, intanto, si era sfilata gli slip.

“A terra, a quattro zampe,” ordinò Sensi, mentre continuava a cercare con lo sguardo un oggetto utile. Non aveva intenzione di tirarle un calcio, ma quella casa aveva delle gravi carenze.

Alla fine individuò un mazzo di fiori secchi.

Si grattò la testa. Fiori secchi. Era leggermente inappropriato. Mai un bel frustino, quando ti serviva. Intanto Lia si era messa a quattro zampe sul pavimento. Sensi andò a prendere i fiori secchi, ne soppesò la flessibilità con una mano (praticamente pari a zero) e tornò verso di lei.

“E se ti volessi picchiare?” chiese, sperando che lei non si accorgesse del mazzolino di rose che aveva in mano. Poi, in fondo, anche le rose potevano andar bene. Uno ha le perversioni che ha, no?

“Va… va bene…”

“Non avevo dubbi.”

Le diede una frustata con il mazzo di fiori secchi. Ovviamente qualche petalo si staccò. Be’, si rassegnò Sensi, era tutto quello che aveva. Le diede un altro colpo, forte, sulle chiappe. Doveva solo cercare di non mettersi a ridere.

Da parte di Lia, ancora nessuna reazione. Le diede un altro colpo.

“Non sembra che ti piaccia,” commentò, con leggero disappunto.

“M-mi piace…” disse lei.

Un altro colpo.

“Be’, non sembra.”

Lei emise un suono.

Sensi lanciò via la sua arma inappropriata, che tanto ormai aveva perso metà delle foglie, e si inginocchiò accanto a lei. “Devi assolutamente spiegarmi come sei finita a quattro zampe a farti frustare con un mazzo di fiori secchi,” le disse, con un mezzo sorriso.

Lei voltò lo sguardo verso di lui. “Fiori secchi?” balbettò.

Sensi le tese una mano e la aiutò a rialzarsi. “Già. In questa casa non c’è nemmeno un oggetto simile a un frustino sado-maso e non volevo usare la cintura. È di cuoio.”

“Non capisco.”

Sensi sorrise. “Ma io sì. Te ne parlerò dopo.”

Lei sbatté le palpebre, un po’ gonfie per il pianto. “Dopo cosa?”

“Non ci crederai, ma mi è diventato duro nonostante il mazzo di fiori secchi. Se ti va di fare del sesso civile, ovviamente.”

Lei tirò su col naso. “Tu sei il tizio più strano che abbia mai incontrato,” disse e sorrise. Non fragilmente, non innocentemente, non spaventata, non torbida, non sarcastica.

Sorrise e basta, e Sensi pensò che non era male.

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