lunedì 5 luglio 2010

Lividi - 8

Mainardi era scomparso. Aveva interrogato Miriam Rossetti, la figlia del non-così-probabile malmenatore, era stato visto insieme a lei davanti alla macchinetta del caffè, guasta, e poi più niente.

“Il cellulare è spento,” comunicò Tudini, abbassando la cornetta del telefono della sua scrivania.

L’ispettrice Riu era appoggiata al muro con le braccia conserte e l’espressione torva. “Avevamo giusto bisogno di un altro latin lover, in squadra,” commentò, acida.

Sensi inarcò un sopracciglio. Nessuno l’aveva mai definito “latin lover”, forse perché aveva l’aspetto latino di uno svizzero o, per essere più precisi, di un transilvano.

“Ispettrice, lasci che le ricordi che Mainardi potrebbe essere in compagnia di una ragazzetta piuttosto pericolosa. Ha chiamato la scuola della Rossetti?”

L’ispettrice grugnì.

“E ci potrebbe cortesemente dire che cosa ha scoperto?”

La Riu strinse le labbra, segno che Sensi aveva avuto più ragione di quanto le facesse piacere ammettere. “Ha avuto diversi problemi di condotta. Le insegnanti la considerano imprevedibile e violenta, ma non sono riuscita a farmi raccontare un episodio specifico.”

“Vada a interrogare le compagne,” sospirò Sensi.

“In poche parole pensi che sia stata lei a picchiare la madre?” intervenne Tudini, con le spesse sopracciglia inarcate.

“E forse anche il padre,” disse Sensi. “Quei due sembrano conigli in trappola.”

Si stropicciò gli occhi e aggiunse: “Vai a sentire di nuovo i vicini di Righi, Tudini. Gli altri vicini, intendo. Cerca di capire in che rapporti fosse con la famiglia Rossetti.”

La Riu si staccò dal muro. “Non crederà che l’abbia ucciso la ragazza?”

“No. Ma ne sarebbe capace? Forse sì. Meglio controllare. Buon lavoro a tutti,” concluse, e scivolò fuori dalla stanza.

“E ha detto che cosa avrebbe fatto lui?” disse la Riu, roteando gli occhi.

Tudini sorrise. Non aveva bisogno di rispondere.

Nessun commento: