sabato 10 luglio 2010

Lividi - 13

Il giorno dopo Sensi si svegliò con un dolore sordo alla testa e con il ginocchio intorpidito. Si lavò e telefonò a Carmel, che gli spiegò che il suo disturbo improvviso era scomparso velocemente com’era comparso. Il mal di testa di Sensi, invece, si intensificò leggermente.

Era strano.

Non che il commissario fosse immune alle malattie, ma non aveva mai sofferto di emicrania, se non in circostanze molto rare.

Forse, finì col dirsi, era solo lo stress. Sensi non era mai stato particolarmente vulnerabile allo stress, come poteva testimoniare chiunque facesse parte della sua squadra, ma non era neanche mai stato accusato di essere uno stupratore di minorenni.

Si infilò una felpa dei Cradle of Filth e il solito giubbotto di pelle nera e caracollò verso la macchina. Il tempo restava inspiegabilmente soleggiato, cosa che non migliorò il suo mal di testa.

Nell’open space della squadra mobile, in questura, c’era un numero sospetto di ispettori, apparentemente impegnati in compiti di poco conto. Tudini stava revisionando la macchinetta sotto l’attenta supervisione di Mainardi, la Riu stava attaccando un ennesimo appello al riciclo sulla porta della sua stanza e Crippa, un ispettore della Digos, fingeva di chiedere informazioni a Bianca Giusti, l’agente-segretaria.

“Non ho stuprato nessuno,” disse Sensi a quest’ultimo, passandogli accanto.

Crippa sembrò cadere dalle nuvole.

“Veramente ero venuto per…” iniziò a difendersi.

“Scoprire se avevo stuprato una minorenne,” concluse Sensi. “Ora lo sai e puoi tornare tranquillo nel regno della paranoia.”

Crippa ebbe il buon gusto di non insistere. Raccolse un paio di fogli a casaccio dalla scrivania della Giusti e scomparve nell’ascensore.

“Una Red Bull,” ordinò Sensi, subito dopo, entrando nel suo ufficio. Il fatto che non fossero stati messi i sigilli alla porta era confortante.

Pochi minuti più tardi Tudini si presentò con una lattina, accompagnato dalla Riu e da Mainardi.

“Ah,” disse Sensi, sollevando lo sguardo su di loro. “Ha tutta l’aria di un assembramento spontaneo.”

“Ci sono delle novità sul caso Righi-Rossetti,” lo informò la Riu, facendo un passo avanti e mettendosi in una militaresca posizione di riposo, con i piedi distanziati e le mani dietro la schiena.

“Sì?”

“Sì, signore. La giovane, Miriam Rossetti, nella giornata di ieri è stata accompagnata al Pronto Soccorso dell’Ospedale Sant’Andrea-”

“Della Spezia, sì,” la interruppe Sensi. “Tanto per completezza. Proceda.”

La Riu continuò in rapportese stretto, come se l’altro non avesse mai parlato.

“Qui è stata sottoposta agli esami di rito per accertare le sue condizioni psico-fisiche. In seguito a detti esami fisici, che hanno compreso un check-up medico completo e una visita ginecologica, la giovane è stata definita in buona salute. Dopo gli accertamenti psicologici, Miriam Rossetti è stata trasferita all’SPDC dell’ospedale Felettino, dove ha accettato il ricovero. La dottoressa Rosa Pagano ha svolto un primo colloquio con la neo-degente e ha refertato un disturbo confusionale acuto. Ulteriori accertamenti verranno eseguiti in mattinata.”

La Riu, finito di fare rapporto, rimase in silenzio, sempre nella sua granitica posizione di riposo.

Anche gli altri tre rimasero in silenzio, cercando di decifrare quello che avevano appena sentito.

“Mainardi, può tradurre?” chiese, alla fine, Sensi.

Mainardi annuì. “La ragazza era vergine, capo. È vergine, per quel che ne sappiamo.”

“E l’hanno portata in psichiatria, giusto?”

“Giusto.”

Sensi si grattò il mento. “Ha denunciato qualcuno per molestie?”

“Alla fine no, capo.”

Sensi si alzò, fece il giro della scrivania e si andò a mettere davanti a Mainardi.

“E comunque è matta come un cavallo,” aggiunse Mainardi.

Sensi gli tirò un ceffone, abbastanza forte, a mano aperta. Mainardi, stupito, emise un lamento e si coprì la guancia.

“Stavo giusto aspettando che lo dicesse, ispettore,” commentò Sensi, aprendo e chiudendo la mano con cui l’aveva colpito. “Lei è un imbecille. Un imbecille sventato e pericoloso. Se prova ad allontanarsi un’altra volta con una sospetta minorenne e a esporsi al rischio di una querela troverò quel cazzo di modulo, dovessi metterci un giorno intero, e le farò rapporto.”

“C-capo!” balbettò Mainardi, che tutto si era aspettato meno che di prendersi una sberla.

“Cazzo, ispettore,” continuò Sensi, soffiando come un toro. “Cazzo,” ripeté.

Non c’era altro da aggiungere e Mainardi abbassò gli occhi, mortificato.

Sensi si massaggiò le tempie con una mano e si appoggiò alla scrivania. “Riu, mi spieghi come sono andate le cose. Senza rapportese. E possibilmente senza cercare di tenermi sulle spine con un’accusa di stupro.”

La Riu si rilassò leggermente. “La Rossetti era in uno stato confusionale,” ammise. “Da quando siamo arrivate al pronto soccorso aveva accusato di molestie anche me. Tra l’altro, tengo a precisare che, nonostante la luce spenta, ho visto perfettamente come si è svolto il colloquio che avete avuto ieri pomeriggio e avrei testimoniato in suo favore.”

“Non so come ringraziarla,” disse Sensi, sarcastico.

“Una volta al pronto soccorso le hanno fatto un kit dello stupro, dal quale è emerso che non aveva mai avuto rapporti sessuali, che non c’erano tracce di liquido seminale, abrasioni o altre evidenze di violenza. A questo punto Miriam era piuttosto agitata. Il ginecologo ha richiesto un consulto psichiatrico e dopo un po’ è arrivato il medico di turno all’SPDC, che ha disposto il ricovero. I genitori, avvisati dei fatti, sono andati all’SPDC e credo che abbiano avuto un incontro con la figlia, che ha deciso di restare per la notte. La dottoressa Pagano ha detto che se vuole parlarle può contattarla al termine delle visite, verso mezzogiorno.”

Sensi guardò l’orologio. Era mezzogiorno meno un quarto.

“Tudini?” chiese.

L’ispettore capo tirò fuori un taccuino e sfogliò qualche pagina. “Ho risentito gli inquilini del palazzo. Il signor Righi andava d’accordo con tutti. Era un signore di buon carattere, così mi è stato detto. Andava d’accordo anche con i Rossetti, specialmente con la signora, che a volte lo aiutava con i lavori domestici.”

“Hanno qualche ipotesi sull’omicidio?”

Tudini scosse la testa. “Quella prevalente è che si sia tentato di un furto finito male.”

“Mh,” fece Sensi, con aria dubbiosa.

“So quel che pensi, Ermanno. Non c’erano segni di effrazione e i soldi erano ancora sotto il materasso… ma a questo punto…”

“Certo,” disse il commissario. “Un ladro suona alla porta fingendosi un fattorino, il signor Righi apre, le cose degenerano, il ladro colpisce Righi con il ferro da stiro e, sconvolto, si dà alla fuga. Portandosi dietro il ferro da stiro.”

“È possibile,” convenne Tudini.

“Sì, certo, come no. Vai ad arrestare la signora Rossetti, va’.”

Le folte sopracciglia di Tudini si inarcarono fino a toccarsi. “La signora Rossetti?”

Sensi sospirò. “Interrogala. Non mi sembra il tipo da negare a oltranza.”

“Ma, Ermanno…”

Lui riprese a massaggiarsi le tempie. “Righi non ce l’aveva nemmeno, un ferro da stiro.”

“Eh?”

“Vedrai. Era la signora Rossetti a fargli i lavori in casa. Finché lui non ha detto qualcosa, ha fatto qualcosa, chi lo sa. La signora Rossetti era stanca di prenderle. La figlia la malmena e il marito non fa niente per proteggerla. La signora Rossetti non ce la faceva più, ecco cosa.”

“Non ci sono prove, Ermanno.”

Sensi sospirò di nuovo. “No,” ammise. “Be’, puoi sempre sequestrarle il ferro da stiro.”

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