giovedì 8 luglio 2010

Lividi - 11

Alla fine fu la Riu ad andare a prendere Miriam. Convocata nell’antro scuro di Sensi, aveva dovuto ammettere che le compagne di classe confermavano le ipotesi del commissario e delle insegnanti. Miriam aveva un “brutto carattere”, litigava facilmente e in varie occasioni aveva fatto a botte con altre ragazze, qualche volta anche con dei ragazzi.

Sensi aveva ricevuto la Riu in un ufficio completamente in ombra, lamentandosi di un dolore sordo dietro l’occhio destro. La Riu gli aveva fatto notare che il suo stile di vita insalubre gli stava presentando il conto.

Stile di vita insalubre o meno, quando l’ispettrice tornò con la ragazza il dolore non se n’era ancora andato. Sensi credeva fermamente nella farmacologia e aveva già preso un’aspirina e un sinflex, ma senza trarne nessun giovamento.

Miriam non sembrava preoccupata, al massimo sembrava leggermente incazzata.

Sensi la invitò a sedersi dove meglio credeva, senza accendere la luce.

“Ma si è rotta la lampadina?” chiese lei, spostando senza tante cerimonie una pila di fascicoli e buttandola per terra.

“Ho un dolore dietro l’occhio, la luce mi infastidisce” spiegò Sensi. “Ti ho chiamata per informarti che picchiare la gente è reato,” aggiunse, voltando la poltroncina verso di lei.

Miriam si mise a ridere. “Oh, fantastico! Quindi adesso mi dirai che il tuo sbirro ha fatto bene a provarci!”

“No, penso che abbia fatto malissimo, ma in una certa misura gliel’hai già spiegato tu. Non mi riferivo a Mainardi, lo sai.”

“Be’, tanto per essere chiari, il tuo amichetto ha provato a toccarmi le tette. Potrei anche denunciarlo, lo sai?”

“Sì, okay, denuncialo,” disse Sensi, che non sembrava particolarmente colpito.

“Come se qualcuno gli facesse qualcosa. Perché, a quelli che hanno pistato i manifestanti a Genova gli hanno fatto qualcosa?”

Il dolore dietro l’occhio di Sensi si stava estendendo, lentamente ma inesorabilmente, anche all’altro occhio.

“Ripeto: mi riferivo agli altri episodi. Vuoi denunciare Mainardi perché non ha provato a toccarti le tette? Accomodati. Non mi interessa. Ora possiamo parlare delle risse con le altre ragazze e delle botte che hai dato a tua madre?”

Miriam saltò in piedi. “Quella puttana! Te l’ha detto!”

Esattamente in quel momento a Sensi iniziò a far male anche un ginocchio. Provò a massaggiarselo al di sopra dei jeans aderenti e neri che costituivano il suo abbigliamento standard.

“Aveva dei lividi. In ogni caso… il tuo comportamento aggressivo ti mette automaticamente al primo posto nella lista dei sospetti per l’omicidio di Righi. Quel foglio lì è il tuo avviso di garanzia, ti arriverà a casa domattina. Qualcosa da dire?”

“Stronzo!” strillò Miriam e si catapultò verso di lui. Era una ragazza forte, atletica, e Sensi non dubitava che Mainardi avrebbe avuto i lividi per un pezzo. Le afferrò un braccio con una mano, glielo passò dietro la schiena e la bloccò contro la scrivania.

“Bastardo,” sibilò lei, cercando di divincolarsi. Smise quasi subito, vedendo che non otteneva niente.

“Devi sempre mettere in conto che ci può essere qualcuno più forte di te, fisico debilitato dallo stile di vita insalubre oppure no.”

“Figlio di puttana, lasciami.”

“Tra un istante.”

“Lasciami o dirò che mi hai molestata!”

“Dillo. C’è un’ispettrice di polizia che sta guardando dalla serratura, tanto perché tu lo sappia.”

“Me ne fotto dell’ispettrice! Hai il cazzo duro, lo sento! Questa è una molestia!”

“No, questa è un’allucinazione, oppure è una menzogna. Spero per te che sia una menzogna. Ora ti lascerò, se prometti di sederti di nuovo su quella sedia e di non provare più a fare la wrestler.”

“Bastardo…” singhiozzò Miriam. “Mi stai facendo male, mi stai molestando, vuoi stuprarmi.”

“No,” ribadì Sensi, che tra il dolore alla testa e quello al ginocchio non avrebbe potuto stuprare nessuno neanche volendo. “Sto per lasciarti, va bene?”

“No!” singhiozzò lei.

“Piangi?” chiese Sensi, allentando leggermente la stretta.

“Bastardo…” ripeté lei.

“Che cosa succede?” domandò Sensi, allentando ancora un po’ la stretta.

“Bastardo, me l’hai messo dentro… non se n’è accorto nessuno, non mi aiuterà nessuno, non mi crederà… nessuno.”

La porta si aprì e la Riu accese la luce. A Sensi sembrò che qualcuno gli avesse accoltellato entrambi gli occhi. La lampadina sul soffitto tremolò leggermente, come se fosse stupita che qualcuno, dopo averla ignorata per anni, ora pretendesse che funzionasse.

“Signore,” disse la Riu.

Miriam sgusciò via dalla stretta ormai lasca di Sensi e si buttò verso di lei. La Riu sobbalzò e fece involontariamente un passo in dietro, ma la ragazza si limitò ad abbracciarla e a singhiozzare sopra la sua spalla. La Riu guardò Sensi, che si stava massaggiando le tempie come se sperasse di scacciare così il mal di testa.

“Ispettrice, che cosa facciamo?” chiese, con voce fiacca.

La Riu accarezzò la testa della ragazza. L’accarezzò un po’ troppo forte, come se non sapesse bene come si faceva. “Ho chiamato un’ambulanza,” disse. Poi si rivolse a Miriam, che continuava a singhiozzare contro la sua spalla. “Credo che dovresti andare in ospedale, Miriam.”

Lei alzò gli occhi su di lei, occhi pieni di lacrime e sinceri. “Mi ha violentata,” singhiozzò.

“Cristo d’un Dio,” borbottò Sensi, lasciandosi cadere sulla su una sedia.

“Tesoro, ora andiamo in ospedale, ok?” disse la Riu.

“Voglio che mi esaminino. Così vedranno che mi ha violentata.”

La Riu le accarezzò di nuovo la testa. “Shh… andrà tutto bene, ok? L’ambulanza sarà qua a minuti.”

E, per una volta, l’ambulanza fu lì a minuti davvero. Due paramedici entrarono nell’ufficio di Sensi e scortarono via Miriam, seguiti dall’ispettrice Riu.

Sensi era intimamente sollevato per non aver dovuto firmare un ricovero coatto, specialmente perché non aveva idea di dove fosse il modulo per richiederlo.

A parte questa lieve sensazione di sollievo, tutto il resto era una completa merda.

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