martedì 20 ottobre 2009

Clamidia - 34

Schneider riuscì a telefonare proprio mentre la segretaria più racchia e timida del mondo stava iniziando a spiegare di essere stata lei a dare la macchina ai ladri.

“Scusi per telefonare,” esordì il Polizeiobermeister.

“In effetti sono un po’ occupato,” rispose Sensi, mentre Mainardi lo guardava incuriosito, la Riu seccata e la segretaria terrorizzata. “Ma faremo presto. Mi sono informato sul conto di questo Voigt. Pare che nell’ambiente fosse ben conosciuto. Un vero pezzo di merda. Hannele, per un periodo, è stata una delle sue ragazze.”

“Ah, come lei sa?”

“Non me lo chieda e non le racconterò delle palle. Ma penso che potrebbe essere stata lei a ucciderlo, o forse sapeva chi era stato. Non saprei dirle perché, ma propendo per la prima ipotesi. Ora tutto quello che vi resta da fare è trovare qualcuno che avesse un motivo per vendicare Voigt. Se fossi in voi partirei dai dintorni della stazione dello zoo.”

“Fraulein Sculte è stata vista là!” esclamò Schneider, sorpresissimo.

“Già. Chissà dove voleva andare. Chissà chi le aveva chiesto di andarci. La saluto, Polizeiobermeister. Mi tenga informato.”

“Santo cielo…” mormorò la segretaria, non appena Sensi concluse la telefonata. Evidentemente non aveva avuto alcun problema a seguire la conversazione.

Sensi le sorrise. “Non si tratta di un caso locale,” provò a tranquillizzarla. “Ci stava dicendo di essere stata lei a noleggiare l’auto.”

“Sì,” disse lei, con un filo di voce. “Erano due uomini… hanno semplicemente chiesto una macchina cinque posti. Gli ho elencato le auto disponibili.”

“Tra cui la Brava.”

La segretaria annuì timidamente.

“Le hanno fatto domande sul colore?”

“Sì, commissario… ma lo fanno tutti.”

Sensi si stropicciò gli occhi. Iniziava a vedere dei puntini bianchi per la stanchezza.

“Capisco. Le hanno chiesto altro?”

“Niente di insolito, mi dispiace. Gli ho spiegato le condizioni di utilizzo e gli ho dato una delle nostre mappe della città. Hanno ringraziato. Poi gli ho mostrato la vettura.”

Sensi si appoggiò con una mano sullo schienale di una sedia. “Le dispiace se mi siedo un attimo?” chiese.

“Capo, stai bene?” disse Mainardi.

“Vedo dei puntolini bianchi,” rispose Sensi, fiaccamente.

“Hai mangiato?”

“Non negli ultimi due giorni, se escludiamo tè e Red Bull. Perché, tu sì?”

Mainardi deglutì. “Be’, sì. Ma ti vado a comprare qualcosa da mangiare. Ho visto un bar, un po’ più in giù.”

“Signore!” esclamò la segretaria. Probabilmente riteneva di aver parlato a voce molto alta, ma era stato poco più di un sussurro. “Mi è appena venuto in mente qualcosa! Uno dei due aveva un sacchetto… ci ho pensato per via del bar…”

A Sensi girava mortalmente la testa, ma cercò di metterla a fuoco. “Sì?” la incoraggiò. Poi aggiunse: “Mainardi, vammi a prendere della cioccolata. Qualsiasi tipo di cioccolata. Basta che non sia bianca.”

“Vedo se ne trovo al gusto pipistrello, tranquillo,” borbottò Mainardi, e uscì di fretta.

“Mi stava dicendo?” chiese Sensi alla segretaria. I puntini bianchi erano diventati una sorta di alone.

Lei si aggiustò gli occhialetti sul naso appuntito. “Aveva un sacchetto di carta. C’era sopra il logo di un bar, solo che non mi ricordo… dunque, il caffè era Bonanni, di questo sono sicura…”

“Chiuda gli occhi, si concentri.”

La segretaria gli lanciò un’occhiata allarmata, ma poi finì per provarci. Sensi ne approfittò per chiudere gli occhi anche lui.

“Sì, c’era un ovale arancione… “bar” era scritto in rosso, con un carattere strano… “bar luonge”, di questo sono sicura. E poi un nome tipo Twiggy, Twiga, Twisty…”

Anche a Sensi quel logo diceva qualcosa, ma non riusciva assolutamente a ricordare che cosa.

La segretaria riaprì gli occhi e scosse la testa. “Mi dispiace. È il meglio che riesco a fare.”

Anche Sensi riaprì gli occhi. “Non si preoccupi, è stata bravissima. E probabilmente non ci avrebbe aiutato molto. Non credo che questi tizi vivano in un bar, dopo tutto.”

L’ispettrice Riu, dietro le sue spalle, emise un grugnito.

“Io so cos’è,” disse.

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