lunedì 19 ottobre 2009

Clamidia - 33

La sede dell’autonoleggio era su viale San Bartolomeo, un’arteria trafficata che scorreva dietro al porto mercantile della città. Mainardi e la Riu, in piedi fuori dalla porta, si potevano così intrattenere osservando le alte gru in perpetuo movimento dietro la recinzione, l’occasionale vagone tir che passava sulla linea ferroviaria e il traffico ingorgato delle sei e mezza di sera sul viale.

Sempre meglio, avevano deciso, che sopportare l’incessante fiume di parole del signor Cursi, il proprietario dell’autonoleggio.

Erano lì che guardavano scorrere – o meglio, muoversi a passo d’uomo – il traffico e la Riu stava per richiamare il commissario, quando Mainardi fischiò tra i denti.

Scivolando agilmente tra le altre macchine, una Porsche Carrera color argento si era fermata silenziosamente davanti a loro.

La portiera del guidatore si aprì e scese il commissario.

“Capo!” balbettò Mainardi, che era abituato a vederlo sulla sua jeep wrangler nera al punto di non poterlo più immaginare alla guida di nient’altro.

Si aprì anche la portiera del passeggero e scese una tizia alta un chilometro e mezzo, con dei pantaloni di vinile neri praticamente pornografici e un caschetto nero che incorniciava un viso all’altezza del corpo.

“C-capo…” ripeté Mainardi, che apparentemente non era più in grado di controllare i muscoli della mascella.

“Mi hanno rimosso la macchina,” disse Sensi, irritato, come se quella fosse una spiegazione. Poi si voltò verso la stangona. “Se dopo il cavalcavia giri a sinistra, imbocchi direttamente l’autostrada.”

“Ok,” disse lei, accanto al sedile del guidatore.

“E grazie del passaggio.”

Mainardi osservò attonito quell’incredibile figa che sorrideva, strizzava l’occhio e diceva: “De nada. Ci vediamo.”

Poi si chinò leggermente sul commissario (coi tacchi era almeno cinque centimetri più alta) e gli diede un bacino sulle labbra. Smac, fecero quelle labbra rosse e Mainardi iniziò a vacillare.

Un istante più tardi era risalita in macchina e la macchina era stata risucchiata dal traffico.

“Capo, ti prego, dimmi che quella è la tua nuova ragazza!” strillò Mainardi, muovano convulsamente le braccia. Sensi inclinò la testa e osservò per qualche secondo un maschio italiano medio al culmine del suo patetismo.

“No,” si limitò a rispondere, netto e freddo. “Ti ho già detto che hanno rimosso la mia cazzo di macchina? A tradimento? Sotto casa mia?”

Mainardi si ricompose. “Sì, capo.”

“Quando ho parcheggiato non c’era neanche un cartello di divieto.”

“A volte lo fanno,” ammise Mainardi, a cui della jeep del capo non poteva fregare di meno. Quello che voleva sapere veramente era come avesse fatto a conoscere quella tizia, a farsi baciare da lei e, Mainardi ammise a malincuore, probabilmente anche a portarsela a letto.

“La piazza sembra un cimitero. Vuota. Vorrei solo sapere quale altro intrattenimento hanno intenzione di propinarci stasera, per aver dovuto rimuovere tutte le macchine.”

“C’è una serata di musica dance,” si intromise la Riu, palesemente seccata. “Adesso, se non vi dispiace, sarebbe il caso di rientrare.”

“Capo, ti avviso che il signor Cursi chiacchiera che è un piacere,” si sentì in dovere di dire Mainardi. Sapeva che quando il capo era di umore nero – ossia quasi sempre – poteva diventare decisamente intollerante.

“Fantastico,” borbottò, infatti, Sensi. “Direi che questa giornata è iniziata di merda e finirà di merda, se solo mi ricordassi quando cazzo è iniziata la giornata.”

L’interno dell’autonoleggio era così austero da essere spartano. Il pavimento era coperto dalla moquette grigia più sottile che Sensi avesse mai visto. Il bancone era di truciolare bianco, così come bianche erano le pareti.

Dietro il bancone c’era un ometto sulla cinquantina che sorrideva come se avesse appena vinto al superenalotto.

“Buonasera! Lei dev’essere il commissario Sensi!” esclamò, al settimo cielo.

“Lo sono,” rispose Sensi, gelido. “Mi fa dare un’occhiata all’auto che ha noleggiato ai ladri?”

L’autonoleggiatore quasi si strozzò, e perse momentaneamente il buon umore.

“Certo, da questa parte,” disse, serio, quasi funebre. Gli fece strada attraverso gli uffici interni, anche loro bianchi e tristi, fino alla porta posteriore. Qua, in un cortiletto di cemento, erano parcheggiate diverse vetture. “Quella bianca,” disse l’autonoleggiatore, indicando l’unica macchina bianca del gruppo.

Era una Fiat Brava, perfettamente pulita. L’adesivo dell’autonoleggio era al suo posto.

“Siamo sicuri che fosse questa?” chiese Sensi alla Riu.

“Ragionevolmente, signore. La descrizione dei due uomini che l’hanno noleggiata combacia, il modello combacia, i giorni in cui è stata fuori sono quelli dei furti.”

“La targa?”

“La nostra!” disse l’autonoleggiatore. Era così eccitato che saltellava quasi. “Sicuramente l’hanno sostituita per i colpi. Ho osservato che una delle viti è nuova, e prima non la era!”

Sensi lo guardò per qualche secondo. “Lei è molto scrupoloso,” commentò, sempre piuttosto freddamente.

“Mettetela sotto sequestro,” aggiunse, poi. “Fate venire i tecnici delle impronte.” Fece una smorfia. “Ma non troveremo niente. Adesso, signor Cursi, potrebbe farci vedere la documentazione relativa a questo noleggio?”

“Certamente! Da questa parte! La mia segretaria vi mostrerà tutto!” E Cursi saltellò di nuovo all’interno.

Sensi sospirò.

“E… ispettrice?” disse, a denti stretti. “Bel lavoro.”

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