sabato 17 ottobre 2009

Clamidia - 31

Sensi si era addormentato. Anche Sonia si era addormentata, dopo aver puntato la sveglia alle sei. Quella notte lavorava.

Dormire accanto a Sensi non le dispiaceva. Era uno strano tipo, ma non si poteva dire che lei conoscesse molta gente normale.

La prima volta che l’aveva incontrato, anni prima, le aveva dato l’impressione di essere un amante ideale. Discreto, disinteressato, sufficientemente educato e abbastanza disinvolto da non essere un completo fallimento a letto.

Erano in un locale goth di Torino, durante una serata bondage. Sonia si era esibita sul palco come domina e aveva il resto della serata libera.

Non sapeva che Sensi fosse in una setta, né tanto meno sapeva che era un infiltrato. Non aveva idea di chi fosse.

L’aveva visto broccolare una tizia carina, ma non eccezionale. L’aveva osservato per qualche minuto sorseggiando in silenzio il suo drink analcolico. La tipa ci sarebbe stata, poteva dirlo da come rideva, da come si avvicinava per parlargli sopra il rumore della musica, da mille piccoli segnali corporei che Sonia decifrava per abitudine, senza nemmeno accorgersene.

Si era avvicinata a sua volta, aveva attaccato bottone.

Sensi l’aveva guardata con espressione perplessa, come se si chiedesse che cosa voleva davvero da lui. Più tardi lo aveva chiesto esplicitamente: che cosa ci faceva una come lei a letto con uno come lui?

L’aveva rivisto qualche altra volta, in giro.

Se frequentavi un certo ambiente finivi per rivederti, era inevitabile. Le avevano detto che era stato in una setta, che alla fine li aveva arrestati tutti. Le avevano detto anche altre cose, ma a quelle Sonia non ci credeva.

Ma poteva dormire con lui, se ne aveva voglia.

Sensi non avrebbe messo su famiglia, non sarebbe cambiato. Sarebbe sempre stato disponibile e, nello stesso tempo, non sarebbe mai stato disponibile per nessuno.

Conosceva altri uomini come lui, uomini sfuggenti, i suoi preferiti. Ma era stato lui a chiamarla, quella mattina, e così si era ricordata che erano anni che non cercava nessuno dei suoi amanti. Che erano anni che lavorava e basta, una notte dietro l’altra, una serata dietro l’altra, una convention dietro l’altra.

Così aveva preso la sua Porsche Carrera ed era andata. Cento chilometri scarsi, meno di un’ora.

Per fare sesso con qualcuno che non voleva essere frustato, non veniva mentre gli facevi un clistere e a cui non interessava leccarle i piedi per ore.

Uno nel cui letto poteva addormentarsi, perché non gli importava.

Letto singolo, ovviamente. Sonia ne conosceva diversi, di uomini a cui piaceva il sesso ma che dormivano in un letto singolo.

Erano perfetti per lei.

Dormiva tranquillamente accanto a lui, quando era stata svegliata da un rumore.

Non ebbe problemi a riconoscerlo come Lullaby dei Cure e non ebbe problemi a capire che era la suoneria di Ermanno.

“Il tuo telefono,” disse, senza aprire gli occhi.

Sensi grugnì. “Lo odio,” borbottò, alzandosi a sedere. Afferrò un cellulare piccolo e rosso dal comodino e si sdraiò di nuovo.

“Ispettrice,” rispose, “un giorno riuscirò a farla trasferire a Salerno.”

Sonia sentì che l’altra rispondeva, ma non fu in grado di capire le parole.

“Ah,” disse Sensi, dopo qualche secondo. “Sì, arrivo. Mi dia una mezz’ora.”

Si voltò verso di lei, chiudendo il telefono.

“Era la mia nemesi, devo andare al lavoro.”

Sonia si stiracchiò. “Devo andare anch’io. La mia sveglia sarebbe suonata tra cinque minuti.”

Sensi si allungò verso di lei, passandole un braccio dietro alle spalle e baciandole il lobo di un orecchio. “Quanto mi costerà questo pomeriggio, cara commercialista?” le sussurrò tra i capelli, divertito.

“Trecento sacchi, perché sei un amico,” rispose lei, ridendo.

“Immagino che non accetti bonifici.”

“Io credo solo nel contante.”

Sensi sospirò. “Allora passeremo al bancomat mentre vado alla macchina.”

Lei si alzò a sedere e recuperò i suoi minuscoli slip neri. Iniziò a infilarseli con gesti veloci.

“Hai visto le mie scarpe?”

“In salotto,” rispose lui. Era ancora steso sul letto e la guardava con un mezzo sorriso.

Sonia rise di nuovo. “Guarda che scherzavo, sui trecento sacchi.”

Sensi si alzò a sua volta e raccolse le sue scialbe mutande bianche. “Lo spero bene. Non fosse altro che per la possibilità unica di contrarre la clamidia per la prima volta nella tua vita.”

Lei si sporse verso di lui, con le magnifiche labbra rosse contratte in un sogghigno. “Ti ho fregato. Mi avresti dato trecento sacchi senza dire una parola.”

“Te ne avrei dato anche cinquecento, se è per questo. Sei così figa da far venire il mal di testa.”

Sonia rise ancora e finì di vestirsi a una velocità sovrumana. I pantaloni di vinile, evidentemente, erano molto più facili da mettere che da togliere.

Sensi pescò una maglietta dei Lacuna Coil quasi pulita e si allacciò gli anfibi, mentre lei si sistemava il trucco già perfetto allo specchio del salotto.

Fuori, il sole era a metà strada verso i monti, ma c’era ancora un caldo insopportabile.

“Dove hai parcheggiato?” chiese.

“In piazza Verdi.”

Sensi evitò di farle notare che lì, come le aveva detto non più tardi di quella mattina, il limite massimo di parcheggio era due ore. Immaginò che fosse abbastanza ricca da pagare la multa dell’ATC.

“Ti do uno strappo,” si offrì. Poi lo sguardo gli cadde su Piazza Beverini. Era recintata e deserta. Il parcheggio completamente vuoto.

Della sua jeep, ovviamente, non c’era traccia.

Nessun commento: