domenica 11 ottobre 2009

Clamidia - 24

Sensi era tornato a casa verso le undici, l’orario in cui di solito si svegliava. Aveva meditato brevemente di passare al Bar Brin, ma non era ancora pronto a farsi tirare dietro un altro bicchiere da Carmel.

La Riu aveva preso energicamente in mano le operazioni e Sensi non dubitava che sarebbe riuscita benissimo a non fare passi avanti nell’indagine anche da sola.

Questi ladri non erano né scemi né approssimativi. L’idea di sostituirsi agli uomini della Lince non era originalissima, ma aveva funzionato piuttosto bene. E il povero agente Carozzo era stato fortunato ad avere un’urgenza pipì proprio in quel momento. Sensi non dubitava che se non si fosse tolto dalle palle così opportunamente da solo avrebbe rimediato almeno un bel bernoccolo.

La Riu aveva intenzione di far setacciare l’intera città alla ricerca dell’auto bianca con gli adesivi dell’agenzia di sorveglianza per poi rilevare le impronte o chissà cosa.

Sensi dubitava che l’avrebbero ritrovata – o che l’avrebbero ritrovata intera.

Comunque, quando la Riu si metteva in testa qualcosa era molto più semplice lasciarla fare.

La faccenda era scivolata fuori dalla sua mente senza ulteriori contraccolpi. Si era steso sul letto e aveva chiamato Sonia, una sua vecchia amica. O conoscente. O anche amante. Era un po’ la stessa cosa, in fondo.

Il caso dell’uccisione di Hannele continuava a incuriosirlo, anche se si trattava di una curiosità relativa, da quando il suo fantasma si era levato dalle scatole.

“Mh?” rispose al telefono Sonia, al decimo squillo, con voce assonnata.

“Sono Ermanno,” disse Sensi, slacciandosi gli anfibi.

“Ciao. Lo sai che ore sono?”

“Le undici e un quarto. Immagino che stessi dormendo. Vorrei poter dire che mi sono appena svegliato anch’io.”

“Cristo, lo sai che la notte lavoro.”

Sensi sbadigliò. “Sarò breve. Hai mai sentito nominare un tizio di nome Gunter Voigt?”

“E che cazzo ne so? Conosco milioni di persone, Ermanno. Chi sarebbe, questo? Un tedesco?”

“Già. Alto, magro, capelli lunghi e neri. Mi somiglia un po’, ma è più giovane e molto più stronzo. Faceva il pappone a Berlino.”

Il telefono rimase silenzioso per una ventina di secondi, ma Sensi pensò di non farle fretta. Invece scalciò via gli anfibi e si distese sul letto. Almeno il raffreddore stava sparendo, non particolarmente strano, visto che c’erano trenta gradi.

“Vivi ancora in quel buco di città?” chiese Sonia, alla fine. La sua voce ora era dura, tesa, per niente assonnata.

“Già.”

“Dammi il tuo indirizzo.”

Sensi glielo diede.

“Vengo da te. Dammi un’ora e mezzo.”

“Ok,” si limitò a rispondere lui, e le spiegò dove poteva provare a cercare parcheggio.

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