martedì 29 settembre 2009

Clamidia - 9

Sensi si svegliò alle undici, sotto lo sguardo triste del suo fantasma. Verso le otto o le nove il suo cellulare aveva squillato, ma Sensi l’aveva ignorato. Se fosse stato qualcosa di davvero urgente, come il questore Salvemini che incrociava fuori dal suo ufficio o la terza guerra mondiale, l’avrebbero chiamato sul fisso.
Si fece una doccia e si mise una maglietta semi-pulita dei Joy Division. Il raffreddore andava un po’ meglio, gli sembrava, la clamidia era sempre uguale. Si spalmò diligentemente il pisello di pomata al mentolo e buttò giù una pastiglia di doxyciclina.
Nel tragitto dalla casa alla macchina perse un paio di litri di sudore, poi partì con l’aria condizionata al massimo, che glielo trasformò in una patina gelida in pochi istanti.
In questura, la Riu lo stava aspettando al varco.
“Signore,” iniziò, in tono sostenuto.
“Dica a Tudini di portarmi una Red Bull,” rispose Sensi, dribblandola e infilandosi nel suo ufficio. Il suo fantasma personale lo seguì docilmente passando attraverso la porta chiusa.
Qualche minuto più tardi la Riu ricomparve, con una Red Bull in mano. Era preoccupante che avesse deciso di assecondare i vizi del capo. Sensi controllò che la lattina fosse chiusa.
“Si accomod- ah, vedo che si è già accomodata. Hem, qual buon vent-“
“Signore, Marini, sa quella persona…”
“Conosco il procuratore,” la interruppe Sensi, anche se dire che lo conosceva era forzare un po’ la verità. Più che altro sapeva chi era, sapeva qual’era il suo lavoro e cercava di tenersene alla larga.
“Bene. Perché Marini insiste che la banda di ladri di gioielli sui quali stiamo indagando venga assicurata al più presto alla giustizia. Dice che la loro cattura infonderebbe un giusto senso di sicurezza nella popolazione. Fiducia nelle forze dell’ordine.”
“Quale delle vittime è sua parente?”
La Riu sospirò. “La signora Tebani, dell’ultima gioielleria. È sua zia. Ha avuto modo di dirmelo questa mattina, quando mi ha convocata…”
“Sa, ispettrice, in generale io non credo che dovremmo far dettare le nostre priorità dalla magistratura,” commentò Sensi. “Ma in questo caso, come titolare dell’inchiesta in discussione, si senta libera di farsi prevaricare come meglio crede.”
“Signore, credo che sia mio dovere informarla che è lei il titolare di questa inchiesta. Ha firmato le carte proprio ieri mattina.”
Sensi chiuse gli occhi. Perché la Riu riusciva sempre a inchiappettarlo?
Sospirò pesantemente. “Mi rendo conto che è il momento di prendere drastici provvedimenti,” affermò. Sollevò la cornetta del telefono e compose un numero.
“Mi passi il dottor Marini,” disse, poco dopo. “Sono il commissario Sensi. Sì, della squadra mobile.” Una piccola pausa. “Sì, quello vestito di nero.”
Il viso della Riu rimase inespressivo. Meticolosamente inespressivo, a parere di Sensi.
“Buongiorno. Sono il commissario… sì, esatto. In merito ai furti nelle gioiellerie dei quali ci stiamo occupando… ovviamente ce ne stiamo occupando. Con la massima solerzia. Abbiamo già interrogato una banda di rom.” Una piccola pausa. “Sì, l’ispettrice Riu non ne era ancora informata. Non dovrebbe rivolgersi ai miei sottoposti, quando può parlare con me.” Un’altra piccola pausa. “Si renderà conto che non posso essere disponibile 24/7 per il suo ufficio. Ventiquattro-sette. Sì, è un modo per dire ventiquattr’ore su ventiquattro sette giorni alla settimana, solo più veloce. Be’, sarebbe stato più veloce, se lei avesse conosciuto il termine. Comunque…”
Le sopracciglia della Riu stavano per schizzarle fuori dalla fronte, ma Sensi non si fermò.
“Chiaramente non abbiamo diffuso la notizia dell’interrogatorio dei rom. O vuole che si scateni un’ondata di xenofobia? Se ben ricordo il sindaco è appena intervenuto a un convegno sui diritti dei migranti… imbarazzante, sì, davvero. Vedo che capisce.”
Sensi ascoltò ancora per qualche istante il procuratore che parlava.
“Ma certo. L’ispettrice Riu verrà a riferire non appena formalizzeremo i nostri progressi. Sì. Mi scusi, ora, ho il dottor Giorgi in attesa sull’altra linea. Sa, per quell’inchiesta anti-racket. Ah, no? Allora faccia finta che non abbia detto niente. Arrivederci.”
Sensi lasciò cadere la cornetta del telefono tenendola in punta di dita, come se negli ultimi secondi avesse sviluppato un odore insopportabile.
“Signore…” iniziò la Riu, non appena lui tornò a guardarla.
“Menzogna, spero che padroneggi questa tecnica anche lei,” spiegò Sensi.
“Veramente, signore…”
“Ovviamente adesso dovrà andare a fare qualche domanda al campo rom. È inevitabile.”
La Riu inspirò profondamente. Espirò. Poi si alzò.
“Devo ammettere che questa volta è stato lei a fregarmi, signore,” disse.
Sensi le rivolse un sorriso pigro e soddisfatto.
“Tranne che qualcuno dovrà scoprire chi ha commesso veramente i furti, eh?” aggiunse l’ispettrice, mentre se ne andava.
Sensi imprecò tra i denti.
Che cazzo aspettava, quella donna, a fare il concorso per commissario? L’avrebbe vinto di sicuro e, con un po’ di fortuna, l’avrebbero spedita a Palermo.

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