lunedì 28 settembre 2009

Clamidia - 8

L’idea dell’autodistruzione gli sembrava troppo impegnativa, a quell’ora di notte, così tornò a casa, tallonato dal suo fantasma, e si mise a letto ancora vestito.

Si rivoltò per una mezz’ora sotto lo sguardo vacuo di Hannele, poi si alzò per prendere del sonnifero.

Immaginò di scendere in strada e camminare fino alle case popolari di via Gramsci dove viveva Carmel. Immaginò di bussare alla sua porta. Lei sarebbe andata ad aprire con addosso una maglietta troppo larga e lui le avrebbe detto che gli dispiaceva. Allora lei l’avrebbe fatto entrare e si sarebbero seduti sul divano, e avrebbero parlato.

Avrebbero parlato del tizio che aveva ucciso e Sensi avrebbe detto che poteva convivere con quello che aveva fatto, e avrebbero parlato di cose di cui Sensi non parlava mai con nessuno.

Forse le avrebbe parlato di Nadia, ma forse no.

Probabilmente no.

Forse non avrebbero parlato affatto.

Sensi si addormentò.

A qualche centinaio di chilometri di distanza, nella Berlino afosa, il Polizeiobermeister Schneider si rivoltava sotto il piumino estivo. Sua moglie russava piano, un suono che a Schneider non dispiaceva. Lo faceva sentire a casa.

Aveva cinquantaquattro anni, non gli mancava molto alla pensione, ma non aveva nessuna intenzione di lasciar perdere il caso della ragazza uccisa.

Aveva parlato con i suoi genitori, con suo fratello.

Hannele Sculte era giovane, avrebbe compiuto ventisei anni a Novembre. La sua famiglia era convinta che alla fine sarebbe riuscita a laurearsi in veterinaria.

Il giorno della sua morte si era svegliata tardi, si era vestita di nero, come al solito, ed era uscita. I suoi genitori erano al lavoro, suo fratello era in camera sua. L’aveva salutata e non aveva pensato di chiederle dove stava andando.

Hannele aveva preso la metro, o forse un autobus. Qualche ora più tardi l’avevano ritrovata riversa in un sentiero del Tiergarten, accoltellata alla schiena.

Schneider e i suoi uomini avevano interrogato tutti i suoi amici. Erano un gruppo che al commissario capo non piaceva, ma nel complesso sembravano innocui.

Avevano controllato le ultime chiamate del suo cellulare.

Quella al commissario italiano era di sette giorni prima, quattro chiamate prima. Hannele non telefonava molto, un fatto insolito per una ragazza di quell’età.

Schneider non sapeva come posizionare il commissario Sensi nel quadro d’insieme dei quell’omicidio. Non gli piaceva, con il suo inglese sciolto e con le sue mezze allusioni. Non gli piaceva che un collega non lo considerasse degno della propria collaborazione, onorificenze o meno.

A Schneider non avevano mai dato medaglie, ma aveva fatto il suo dovere per trent’anni e non gli piaceva essere trattato con condiscendenza.

Aveva intenzione di telefonargli di nuovo, il giorno successivo. L’aveva detto alla sua squadra e non stava scherzando. Aveva preso il vocabolario e si era preparato un discorsetto. Questa volta quel poliziotto italiano gli avrebbe spiegato quello che sapeva della morte di Hannele.

Schneider si rivoltò sotto il piumino estivo, ripassando mentalmente il suo discorso.

Arrivato a metà, si addormentò.

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