lunedì 3 agosto 2009

Mezza sega - 9

Dopo il pranzetto Mari se lo caricò sulla sua tamarrissima Golf gtd nera in assetto sportivo con tanto di tribali simili a fiammate rosse appiccicati sulle portiere.
“Spero solo che non mi veda nessuno su questa macchina,” commentò Sensi. “Forse era preferibile essere andato a letto con un brigadiere dei carabinieri. Era meno vergognoso.”
Mari sogghignò. “E comunque mi hai baciato appassionatamente.”
“Menti. Io non bacio appassionatamente. Mai. Bacio lubricamente, teneramente o categoricamente. Quando mi appassiono sono già almeno alle mutande.”
“Diciamo che mi hai baciato sonnambulicamente, allora.”
“Così va meglio. Adesso dimmi un po’, dove stiamo andando?”
Mari mise in moto e il motore emise una sorta di ronfo sonoro che gridava ai quattro venti “sono proprietà di un coatto”.
“In piazza Saint Bon, ovviamente.”
“In piazza Caduti per la Libertà, vuoi dire.”
Mari si voltò verso di lui, scansò un pedone per pochi millimetri e fece disinvoltamente inversione sopra l’attraversamento pedonale di viale Italia. Un paio di clacson si levarono in segno di protesta, ma Mari se li lasciò alle spalle rombando.
“Vediamo se l’ho capita giusta,” disse, sorpassando sulla destra un’attonita cinquecento. “Tu pensi che Cervi, per prima cosa, abbia cercato del metadone.”
“Be’, lui non è di Spezia. Le vicinanze della stazione sono un posto abbastanza ovvio se vuoi comprare dell’eroina, ma se vuoi prima parlare con dei tossici per sapere come non farti fregare non c’è niente di meglio dei dintorni di un SerT. Che, oltretutto, ha un indirizzo pubblico.”
Mari grugnì svoltò in via San Cipriano attraversando due corsie di macchine. I guidatori restarono così allibiti che non osarono neanche strombettare.
Davanti a loro c’era la massa verdeggiante dell’ospedale Sant’Andrea e del suo parco. Il SerT, in realtà, era in una viuzza alle loro spalle, ma per qualche ragione i tossici istituzionali avevano eletto a dimora il parchetto di fronte all’ospedale e, specialmente il colonnato che lo chiudeva da un lato.
Mari fece il giro e lasciò la macchina praticamente sopra a un’aiuola.
“Mi raccomando, cerchiamo di non farci notare,” disse Sensi, sarcastico, mentre scendeva.
“Io credo che il tuo ex-amico sappia già che lo stai cercando, chiappe secche,” rispose Mari, imperturbabile. Sensi, che continuava ad avere ben presente che il brigadiere era due volte più grosso di lui e aveva anche il grilletto facile, evitò di commentare l’ultimo “chiappe secche”.
Sotto al porticato stazionavano un certo numero di tizi male in arnese.
Un paio se la filarono discretamente, gli altri o erano troppo fatti per preoccuparsi o erano troppo fatti per rendersi conto che la Legge incombeva su di loro. Forse anche perché la legge aveva le sembianze di un gotico con un braccio al collo e di un enorme teppista tatuato.
“Guarda chi si vede,” disse Sensi, avvicinandosi al gruppetto lento di riflessi, “Moreno il Tossico.”
Il diretto interessato era uno spilungone magrissimo, giallognolo e dai capelli unti.
Una volta Sensi l’aveva salvato da un’overdose, quindi sarebbe stato logico aspettarsi che almeno si ricordasse di lui. Non avvenne immediatamente, ma dopo qualche secondo Moreno lo mise a fuoco e gli rivolse un sorriso colpevole.
“Commissario,” mormorò.
I suoi compari erano un tizio basso, cicciotto e dall’aria demente e una donna dalla bizzarra configurazione corporea e dai capelli rossi dalla lunga ricrescita nera. La bizzarra configurazione corporea della donna si riassumeva in gambe e braccia magrissime, ventre grasso e faccia gonfia.
“Non eri in comunità?” chiese Sensi, che non era per niente stupito di vedere che Moreno era ancora in circolazione.
L’espressione colpevole dell’altro si intensificò. “Sai com’è,” borbottò.
“Cazzi tuoi. Ho alcune domande per te e per i tuoi amici. Tra l’altro: questo è il brigadiere Mari, gli piace sparare agli innocenti.”
“Ma anche se non sono innocenti non fa niente,” aggiunse l’altro, compito.
Moreno e gli altri due lo soppesarono per qualche istante.
“Ma certo, chiedi pure,” tentò di sorridere lui, alla fine dell’esame. Non che ci fosse molto da esaminare: che Mari era un figlio di puttana grande e grosso si capiva al primo sguardo.
“Può darsi che ieri o ieri l’altro sia capitato qua un tizio nuovo. Non spezzino. Una mezza sega coi capelli neri, corti, la faccia pallida e gli occhi scuri.”
Moreno sembrò assorto, invece la tizia dalla buffa configurazione corporea lanciò un’occhiata al terzo tizio e si infilò le mani in tasca.
“Forse la signora ha qualche notizia per noi,” commentò Mari, con voce aggressiva.
Sensi si voltò verso la donna e sorrise. “Sì?”
Lei ondeggiò un po’, spostando il peso da un piede all’altro.
“Forse è il tipo che è passato ieri l’altro. No, Ciccio?”
Ciccio sembrava lobotomizzato di fresco, ma fece un cenno d’assenso.
“Era nuovo. Cioè: io non lo so chi era.”
“Eccellente. Che cosa voleva?”
La donna iniziò a guardarsi intorno, infelice.
“Il commissario è uno a posto,” disse Moreno, col servilismo tipico di chi non vuole essere arrestato di nuovo.
“Be’, voleva sapere se per caso non avevamo del metadone. O della bu… bupro… del subutex,” concluse la donna, abbandonando ogni velleità di sembrare colta.
“Buprenorfina,” concluse Sensi. “Perché?”
Lei aprì le mani.
“Che cosa gli avete venduto?” chiese, allora, Sensi.
“Noi niente,” fu la risposta-lampo dell’altra.
Mari alzò un sopracciglio.
“Un tizio…” corresse il tiro la donna “…gli ha dato del metadone. Lui voleva sapere dove trovare della roba.”
“E voi gli avete detto in piazza Brin.”
Lei fece un sorrisino innocente. “Be’, lo sanno tutti.”
“Vi ha parlato di sé? Vi ha raccontato qualcosa di lui?”
“Capo, che cosa ha fatto questo tizio?” interruppe Moreno. Sensi gli lanciò una lunga occhiata. Era più giallo e più magro di come lo ricordasse. Si chiese dove fosse – e con chi fosse – suo figlio.
“È un maniaco pericoloso,” rispose. “Allora, vi ha detto qualcosa?”
La donna iniziò a grattarsi un braccio.
“Forse… mi sa che si è lamentato del suo albergo. Tu ti ricordi qual’era, Ciccio?”
Il tizio con l’aria da demente scosse la testa.
“Forse ti ricordi la zona?” tentò Sensi.
“Mah… da queste parti.”
Mari fece un passo avanti. Se il porticato non fosse già stato in ombra avrebbe coperto il sole. “Che cosa significa da queste parti? Da queste parti tipo in città o da queste parti tipo in questa zona?”
La donna indietreggiò. “In questa zona. Credo. Hey, io non lo so, ok?”
Mari lanciò un’occhiata a Sensi, che inclinò la testa da un lato, pensieroso.
“Pennarello,” disse, alla fine.
Mari lo guardò con espressione stralunata. “Vuoi un pennarello?”
Sensi sorrise. “Sì, ce l’hai?”
“No, per chi cazzo mi prendi, una cartoleria? Forse ho una bic.”
“Dammi una bic, allora,” sospirò Sensi. “Ma un pennarello indelebile sarebbe stato meglio.”
Moreno alzò una mano. “Io ce l’ho,” disse.
Mari aggrottò le sopracciglia. “E che cazzo te ne fai di un pennarello indelebile?”
Moreno fece un passo indietro. “S-sono un muratore,” tartagliò.
“Dammi quel pennarello,” tagliò corto Sensi. “Sollevatevi tutti una manica.”
Moreno gli allungò un Tratto Marker nero, poi, docile, si tirò su una manica della camicia.
“Meglio il destro, qua non c’è spazio,” disse Sensi.
Moreno si tirò su anche l’altra manica. Il braccio destro era meno bucherellato del sinistro, per l’ovvio motivo che Moreno era destrimane, e Sensi ci scrisse sopra un numero di telefono con il pennarello indelebile.
“Prossimo,” disse.
La donna, vedendo che non era niente di pericoloso, si sollevò a sua volta una manica. Sensi scrisse il numero anche su di lei. Poi ripeté l’operazione con il terzo tossico.
“Quello è il mio numero di cellulare,” spiegò il commissario, restituendo il pennarello a Moreno. “Lo scriverete sul braccio di tutti quelli che incontrate e non lo userete per stupidi scherzi telefonici. Mi chiamerete solo se vedete il tizio di cui abbiamo parlato, e poi ve la darete a gambe. Avete capito?”
“Tranquillo, capo,” disse Moreno. Gli altri due annuirono.
“Avete capito anche che è pericoloso?”
Moreno si ricoprì le braccia e fece un cenno d’assenso.
Il tizio dal calzante soprannome di Ciccio stava cercando di allontanarsi a passo di gambero e Mari lo riacchiappò per la camicia.
“E sono pericoloso anch’io, tanto per la cronaca,” lo informò.
Ciccio sembrò completamente convinto.

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