venerdì 31 luglio 2009

Mezza sega - 4

Più tardi si svolsero anche altre conversazioni.
La prima ebbe luogo nel lussuoso ufficio del questore Salvemini. Sensi fu fatto entrare dall’anziana segretaria e cercò di non strizzare troppo gli occhi per la luce.
Il questore, senza dire una parola, tirò fuori da un cassetto della scrivania la Beretta calibro 9 del commissario e il commissario se la riprese, anche lui in silenzio. L’aveva consegnata al suo superiore tempo prima per scopi tutt’altro che limpidi, ma adesso ne aveva di nuovo bisogno.
Se la infilò sotto la giacca e fece per andarsene.
“È un peccato, per la sua Les Baer,” commentò Salvemini, in tono neutro.
“Già,” rispose Sensi, e se ne andò davvero.
Quello che il capo voleva dire, ovviamente, era che sapeva benissimo che non l’avrebbe mai ritrovata e che non gliene importava niente: l’importante e era che adesso, se gli capitava, usasse la Beretta nel modo giusto. In effetti avrebbero proprio avuto bisogno di un cadavere per mettere la parola fine a un caso che si protraeva da troppo tempo. Sensi, mentre scendeva in ascensore, si chiese come facesse Salvemini ad alzarsi tutte le mattine con la consapevolezza di essere Salvemini. Doveva essere fottutamente impegnativo.
La seconda conversazione ebbe luogo davanti all’ufficio di Sensi.
Mainardi dondolava lì attorno, con aria tutt’altro che innocente, da dieci minuti buoni.
“Capo, non sapevo che avessi una Les Baer,” iniziò, speranzoso.
Sensi non lo calcolò neanche di striscio. “Non sono un appassionato di armi da fuoco, sono solo un tiratore naturale. Quindi… sai quel film in cui tu e io facciamo lunghe chiacchierate su otturatori e munizioni? Scordatelo subito.”
Poi gli girò intorno e si diresse verso la sua terza conversazione della mattinata.
Mari, come si aspettava, era in bagno.
Si era tolto l’uniforme da carabiniere e probabilmente l’aveva riposta nella sacca da calcio sulla quale sedeva, fumando una sigaretta.
“Non ero sicuro che avessi capito,” disse.
Sensi si appoggiò a un lavandino. “Dovevo passare da Salvemini, ma, tranquillo, nessuno, di solito, mi informa in modo così enfatico che deve andare a cagare. Specie se l’ho appena conosciuto.”
Mari diede un lungo tiro alla sigaretta e sbuffò il fumo verso l’alto. “Non ci sono rilevatori, vero?” chiese.
“Non c’erano neanche nel mio ufficio, se per questo. In compenso non c’era puzza di piscio.”
L’altro sorrise. “Sono un po’ paranoico.”
“Direi che per uno che dà la caccia agli spacciatori è normale, ma tu devi aver aggiunto alla tua normale paranoia anche qualche additivo extra.”
Mari emise un’altra nuvole di fumo. “Non fare l’innocentino, commissario. Nel mio lavoro restare svegli è importante.”
“Sono felice di non fare il tuo lavoro.”
L’altro rise, poi si alzò in piedi e buttò la cicca in un water.
“Ora che abbiamo fatto amicizia parliamo del fatto che non ti hanno rubato l’ipod?”
“Era un lettore mp3 della Sony.”
L’altro rise di nuovo. “Ooookay.”
“E comunque non funziona più. Non so perché.”
“Questo è davvero strano,” commentò Mari, tutto serio. “Quasi più strano del fatto che quel tizio è scomparso nell’aria come se non fosse mai esistito.”

2 commenti:

paolo raffaelli ha detto...

eheheh, sembrava tutto troppo normale...

Susanna Raule ha detto...

a las-pezia non esiste, la normalità. basta prendere la macchina per rendersene conto.