giovedì 30 luglio 2009

Mezza sega - 3

La mattina seguente il commissario Ermanno Sensi comparve in questura a mezzogiorno e mezza, per una volta pienamente autorizzato dalle circostanze. Infilarsi la felpa degli Alien Sex Fiend era stato un incubo, specie perché Carmel aveva insistito per “aiutare”. Il suo braccio sinistro era appeso al collo per mezzo di un’ex fascetta frontale del Wave-Gotik-Treffen, che non era proprio il genere di reliquia che Sensi volesse ammettere di possedere. Non per il Wave-Gotik-Treffen, beninteso, ma perché il concetto stesso di fascetta frontale era troppo estremo persino per lui.
All’una nel suo ufficio si era radunata una piccola folla: la sua squadra, il brigadiere Mari e, scesi dall’alto dell’Olimpo, il questore Salvemini e il generale dei carabinieri Manin. Il generale era sembrato sconcertato dalla sistemazione, ma non aveva detto niente. Era un signore dai capelli color ferro e dalla mascella ferma, che in uniforme sembrava almeno dieci centimetri più alto del suo metro e sessanta. Ciò non toglieva che vicino a Salvemini, al quale arrivava poco sopra il gomito, sembrava il pupazzo di un ventriloquo in abito sartoriale.
“Grazie per essere venuti,” esordì il questore, e i suoi piccoli baffi a forma di mosca svolazzarono in modo lugubre. “Generale, grazie per il suo tempo.”
Il generale fece un piccolo gesto secco con il capo.
“Prima dell’avvio dell’inchiesta ufficiale era nostra intenzione comprendere lo svolgimento dei fatti in modo più… informale.”
“Sono perfettamente d’accordo,” disse Manin, serio come una lapide nera di piccole dimensioni.
Sensi pensò che fosse il momento giusto per mettersi a sedere con aria affaticata.
Che fosse affaticato, poi, era perfettamente vero. Una persona più decente di lui avrebbe senza dubbio approfittato della notte per dormire, ma probabilmente quella persona più decente di lui non avrebbe neanche lasciato che una donna dalle gambe chilometriche si infilasse nel proprio letto e via discorrendo.
“Commissario?” gli lasciò la parola Salvemini.
Mainardi, in un angolo particolarmente scuro, tirò fuori il suo taccuino di soppiatto. Quella doveva raccontarla in mensa senza tralasciare un dettaglio.
“Hem. Ieri notte, verso le due,” iniziò Sensi, in tono accuratamente neutro, “stavo camminando per via Nino Bixio con il mio lettore mp3 comprato di fresco nelle orecchie quando un tizio mi ha superato di corsa e mi ha strappato appunto il lettore mp3.”
La Riu, poco dietro il questore, fece una smorfia che esprimeva pienamente la sua opinione sui lettori portatili, sull’abitudine delle passeggiate notturne in quartieri malfamati e anche sulle preferenze musicali del capo.
“Visto che l’avevo, hem, pagato una cifra,” continuò il commissario, imperturbato, “mi sono gettato all’inseguimento. Ho preso il ladruncolo per il cappuccio della felpa ed è seguita una breve colluttazione, alla fine della quale l’altro è riuscito a scappare. Ho ripreso a inseguirlo e ho, hem, tirato fuori la pistola. Poi hanno sparato a me.”
Il brigadiere Mari, a quel punto, si sentì in dovere di fare un passo avanti. Con l’uniforme nera dei carabinieri e senza i piercing sembrava un fascistello in parata.
“Avendo assistito alla scena,” dichiarò, rigidamente, “e avendo osservato il commissario estrarre la pistola; ignorando la sua identità e la sua appartenenza alle forse dell’ordine… estraevo l’arma di servizio e lo colpivo a una spalla.”
Sembrò che nessuno, a parte Sensi, trovasse inusuale la forma sintattica scelta dal brigadiere, perché tutti annuirono compitamente. Sensi si rimangiò l’amen che aveva sulla punta della lingua.
“Qualche domanda,” intervenne il generale Manin. “Commissario, ha dichiarato di avere estratto la sua arma di servizio…”
“No,” corresse Sensi. “Non era la mia arma di servizio. Era una pistola da gara, una Les Baer 1911 ultimate master combat, .38 super. E noti che ho usato il passato, perché quella pistola, che costava scarsi tremila dollari, è rimasta per terra e ora probabilmente sta facendo la gioia di qualche rivenditore. O qualche delinquente di strada sta criticando il suo design con qualche altro delinquente ignorante.”
“Una pistola da competizione,” sottolineò il questore, “che ci ha fatto vincere un discreto numero di medaglie.”
Sensi sospirò. “In realtà non intendevo sparargli. Intendevo sbattergli il calcio sopra quella zucca vuota, il che probabilmente non mi rende meno blasfemo del delinquentello ignorante di cui parlavo prima.”
L’ispettore Mainardi, che ovviamente era un fanatico della domenica delle armi da fuoco, fu l’unico a sembrare oltraggiato, e smise persino per un attimo di prendere appunti.
“Il fatto è che era in borghese,” disse Mari, in tono vagamente difensivo, “e a quella distanza non potevo certo accorgermi che aveva in mano una pistola da competizione.”
“Però avrebbe dovuto recuperarla!” sbottò Manin. “Non lasciare armi sulla scena di una sparatoria è una norma di elementare prudenza, oltre a essere scritto in chiare lettere sul manuale!”
Mari si morse la lingua e provò ad assumere un’espressione contrita. La sua espressione contrita, in un vicolo scuro, avrebbe fatto scappare qualsiasi creditore a gambe levate.
“Si stava accertando che non mi dissanguassi,” andò in suo soccorso il commissario.
Alzò il palmo destro verso il soffitto. “È stata sfiga, tutto qua.”
Il generale Manin non sembrò particolarmente soddisfatto della spiegazione.
“Non mi interessa come è successo! Non doveva succedere. Adesso voi due vi metterete alla ricerca di quella pistola, possibilmente prima che qualcuno la usi per uccidere un innocente!” Era diventato di una ricca sfumatura color porpora. Lanciò un’occhiata inceneritrice a Salvemini. “Se il mio collega questore è d’accordo, naturalmente!”
Salvemini sarebbe stato d’accordo praticamente su ogni cosa, pur di levarsi dalle scatole quell’ometto dal carattere preoccupante. E poi un Sensi invalido sembrava ancora meno utile di un Sensi nel pieno possesso del suo corpo.
“Sono completamente d’accordo,” disse quindi, con espressione seria.
Sensi fece vagare lo sguardo sul soffitto, che come sempre si perdeva nell’ombra e borbottò il suo signorsì.
Mari, invece, insorse: “Signore, mi sento in dovere di ricordarle che l’operazione in corso…”
“Lei non fa più parte dell’operazione in corso!” strillò Manin. “Lei deve considerarsi fortunato di fare ancora parte del corpo dei carabinieri!”
Detto questo si rivoltò come se un ratto l’avesse morso su una chiappa e si allontanò a lunghi passi dalla stanza.
“Già, che fortuna,” commentò, sottovoce, Sensi.

Nessun commento: