domenica 19 luglio 2009

L'appartamento di sopra - 7

“Non avrebbero dovuto portare via l’altro ragazzo prima dell’arrivo della scientifica,” fu una delle prime cose che disse la Riu, arrivando sul luogo del delitto.
“Capisco quello che intende, ispettrice. Se poi fosse stato morto anche lui preservare la verginità della scena sarebbe stato ancora più semplice.”
La Riu gli lanciò un’occhiataccia, mentre Sensi tirava fuori il cellulare, un guscetto di plastica rosso brillante.
“Comunque gli ho fatto una foto, così stasera potrò metterla su Facebook.”
Tudini aggrottò le folte sopracciglia.
“Non è un nuovo software della polizia,” lo prevenne Sensi. “Comunque,” aggiunse, tirandosi indietro i capelli, “mi sembra il momento giusto per farci qualche domanda. Chi inizia?”
Mainardi, che cercava di evitare la vista del cadavere da quando era entrato nell’appartamento, alzò una mano. “Io ne avrei una, capo.”
“No, non puoi usare il bagno. Te la dovrai tenere fino alla ricreazione.”
L’altro sbuffò. “Volevo chiedere: che cavolo è quel coso?”
Lo sguardo di tutti i presenti si spostò sul graffito insanguinato sulla parete. Era un disegno geometrico, formato da quattro croci e vari cerchietti, che si intersecavano a formare un quadrato irregolare privo di un lato sormontato da un’altra croce.
“Quello?” disse Sensi. “Quello è un sigillo.”
“Roba esoterica?” volle sapere la Riu. Dal modo in cui pronunciò la parola “esoterica” avrebbe potuto anche dire “diarrea”.
Il commissario si accarezzò il mento. “Se con esoterica intende satanica, direi che, sì, possiamo definirla roba esoterica.”
“Oh, Cristo,” sospirò Mainardi.
“Che razza di simbolo sarebbe, Ermanno?” chiese, invece, Tudini, con il taccuino in mano.
L’altro guardò la parete per qualche istante. “Sigillo, non simbolo. È il sigillo di Dantalian, un duca infernale che comanda trentasei legioni di spiriti, che influenza le menti e controlla la scienza e l’arte. Ma quello che mi colpisce è un altro particolare.”
“Che sia stato tracciato col sangue?” interloquì Mainardi.
“Tu sei un osservatore fottutamente acuto, Mainardi, non ti sfugge davvero niente.”
“Ma perché disegnare il sigillo di questo demone?” chiese la Riu. “A parte il fatto che il tizio è fuori di testa, ovviamente.”
Sensi incrociò le braccia. “Perché non disegnare anche un cerchio, piuttosto? Questa è la domanda interessante.”
Il commissario scosse la testa, assorto. “Non ha senso.”
“E le dispiacerebbe spiegarlo anche a noi?” disse la Riu, irritata.
L’altro la guardò per un istante in silenzio, come se stesse seguendo un suo pensiero personale.
“Sembra che qualcuno volesse evocare questo demone,” spiegò, alla fine, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. “Ha fatto un sacrificio di sangue… un sacrificio francamente esagerato, tra l’altro: per evocare un demone bastano poche gocce. Ha tracciato il sigillo sul muro, e questo ha un senso, ma non ha tracciato un cerchio per terra, e questo non ne ha. Se uno evoca un demone di solito è per asservirlo, e per asservirlo devi intrappolarlo, e per intrappolarlo ti serve un cerchio. Per questo i pentacoli stanno dentro dei cerchi, è soltanto logico. Ma qui non c’è nessun cerchio, non c’è niente che trattenga il demone. Che senso ha?”
“Commissario, non vorrei sottolineare l’ovvio, ma chiunque abbia commesso questo crimine è un demente. È probabile che quel segno stimolasse qualche suo delirio. Non credo che…”
Sensi interruppe l’ispettrice con un gesto stanco della mano.
“Lei ha senz’altro ragione. Adesso… qualcuno ha un pennarello?”
La Riu inarcò le sopracciglia. “Un…”
“Pennarello, è quello che ho chiesto.”
Tudini ne estrasse uno, blu, dalla tasca.
“Eccellente,” disse Sensi, prendendolo. Poi andò alla parete e tracciò un bel cerchio tondo attorno al sigillo. Accanto ci scrisse, in stampatello: REPERTO A.
Poi lo passò a Mainardi. “Adesso puoi fare un cerchio attorno al cadavere e scriverci reperto B.”

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