lunedì 20 luglio 2009

L'appartamento di sopra - 10

L’ufficio di Sensi era buio come al solito. I suoi uomini erano seduti qua e là, alcuni al posto delle pile di cartacce che avevano rimosso dalle sedie, alcuni, come Mainardi, direttamente sopra di esse.
“Forse se covi abbastanza nascerà qualcosa,” gli disse il commissario, andandosi a sedere dietro la scrivania.
“Dunque,” continuò, “nell’ottica di un’archiviazione del caso veloce e indolore, credo che dovremmo dividerci i compiti, in modo che ognuno di voi abbia la possibilità di svolgere indagini imprecise e inadeguate in un ambito specifico.”
La Riu strinse le labbra, ma non disse niente.
“A parte l’ispettrice, è chiaro. Le sue indagini saranno meticolose e altamente efficaci, solo che noi le rovineremo tutto come al solito. Va meglio, così?”
L’ispettrice grugnì.
“Direi che lei, come unica rappresentante del gentil sesso nella squadra, potrebbe occuparsi di qualcosa di squisitamente femminile, come andare dal patologo e rompergli le palle finché non le spiega perché il sangue della vittima non si coagula.”
La Riu, che evidentemente non voleva sapere che cosa ci fosse di squisitamente femminile nel compito, si limitò a un brusco cenno d’assenso.
“In quanto a Mainardi, credo che possa applicare le sue non trascurabili doti investigative nel più classico degli interrogatori porta a porta del vicinato. Quello che dovresti cercare, se posso permettermi di suggerirtelo, sarebbero sconosciuti armati di coltello che si siano aggirati con fare losco nei dintorni nelle ore immediatamente successive alle due e mezzo.”
“Ok, capo,” disse Mainardi, remissivo.
“Ah, e lo sconosciuto potrebbe anche non essere stato palesemente armato di coltello. O persino ben conosciuto. E anche per niente losco.”
L’altro annuì.
“Max, tu, invece, credo che dovresti andarti a sincerare delle condizioni del secondo ragazzo, Johan Milovich.”
“Mi servirà un interprete?”
“Se ne trovi uno che sappia tradurre dal coma al linguaggio di noi desti credo che ti sarebbe enormemente utile, altrimenti Johan parla perfettamente la nostra lingua, visto che è nato e cresciuto a Migliarina. Be’, forse “perfettamente” potrebbe non essere la definizione giusta, ma ci siamo capiti.”
Sensi mosse leggermente il mouse del computer, si sincerò che il download della discografia completa dei Red House Painters fosse a buon punto e tornò a concentrarsi sulla sua squadra.
“No, dovresti cercare di capire che cosa gli è successo. All’apparenza non aveva lesioni e, sempre all’apparenza, era sul letto durante l’omicidio, probabilmente incosciente, quasi sicuramente di schiena, almeno a fidarsi della traiettoria delle gocce di sangue. Ora, non voglio suggerire che bisognerebbe fare un’analisi dei blood pattern, ma ho ugualmente scaricato sul computer la fotografia presa con il mio cellulare. O meglio, ho scaricato l’intera cartelletta, visto che non mi consentiva di fare altro. Sarà tua cura rimuovere le fotografie dei concerti, dei locali notturni e di me stesso in atteggiamenti poco adatti al prestigio della nostra divisa.”
Tudini, serio come al solito, gli assicurò che l’avrebbe fatto.
“Molto bene. Ora, mentre voi iniziate le indagini, io mi recherò all’ufficio person… al reparto psichiatrico.”
La Riu inarcò un sopracciglio. “Lei è consapevole del fatto che spostare la data delle sue ferie sarebbe un gesto di ben poco senso civico, vero, commissario?” chiese, con voce flautata.
Sensi sospirò pesantemente. “Un giorno scoprirò una postilla del regolamento che mi permetterà di cancellare dal mondo il male che lei rappresenta, ispettrice.”
La Riu si limitò a un sorrisetto soddisfatto, segno, pensò Sensi, che quella postilla esisteva di sicuro, ma che lei sapeva benissimo che lui non l’avrebbe mai trovata.
Anche perché, per trovarla, avrebbe dovuto leggere il regolamento: una possibilità peggiore del male, a suo avviso.
Rassegnato, mise in stand-by il computer e si preparò a un’allegra gita all’ospedale dei matti.

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