martedì 16 giugno 2009

Una linea d'ombra - 15

In piazza Verdi c’erano due saloni di parrucchiera. Uno era grande e nuovo, sul lato sud, uno era piccolo e vecchiotto, sul lato nord, incassato tra un negozio d’abbigliamento maschile in cui Sensi non si sarebbe comprato neanche un paio di calzini e un tabacchino dalla vetrina piena di oggetti disparati, non necessariamente collegati col fumo: statuette, scacchi, portachiavi, lavalamp. Sensi aveva quasi la tentazione di comprarsi una lavalamp viola a forma di fallo (ma forse che fosse a forma di fallo era solo una sua idea), ma poi lasciò perdere.
Si infilò nel salone piccolo e vecchiotto.
Era un ambiente lungo e stretto. Su un lato c’era un grande specchio, con davanti tre poltroncine occupate da altrettante signore avvolte in pastrani color argento, con i capelli a diversi stadi di ammollo.
In fondo c’erano due lavatesta e in un angolo, quasi abbandonata, una poltrona con sopra quello che assomigliava a un casco spaziale.
Di primo acchito nessuno parve fare caso al commissario.
Una donna giovane, con i capelli di uno squillante biondo platino, era impegnata a impastare i capelli di un’altra, che erano coperti da una sorta di melma violacea. Un’altra tizia, mingherlina, stava usando un rumorosissimo phon sulla chioma di una cliente piuttosto stagionata. La chioma era di un gradevole colore azzurrino.
Alla fine la tizia con i capelli biondo platino si sfilò i guanti con uno schiocco e andò verso di lui.
“Ciao,” disse, guardando con occhio professionale i capelli lunghi e ingarbugliati di Sensi. “Ti serve un appuntamento?”
“Non credo,” rispose il commissario.
“Peccato. Hai un nero naturale stupefacente.”
Sensi, involontariamente, si tirò indietro i capelli. “Be’, grazie. Ma temo che sia una visita ufficiale. Sono il commissario Sensi, squadra mobile.”
L’altra si mise a ridere, poi, come il commissario in fondo si aspettava, disse: “Tu non sei un poliziotto!”
Sensi, rassegnato, tirò fuori il distintivo.
“Oh, wow. Allora?”
Sensi rimise via il distintivo. “Erica Buscetta.”
“Sì? È stata qua ieri, le è capitato qualcosa?”
Sensi annuì. “Come ti è… sembrata?” si mantenne sul vago.
“No, bene, perché? Che cosa le è successo?”
“Aveva un occhio nero,” disse Sensi, senza rispondere. Chissà se avevano un bagno, là dentro. Probabilmente non avrebbero apprezzato se si fosse messo a vomitare in un lavatesta.
“Sì, l’ho visto. È stato un suo allievo, una roba da non crederci. Ma lei era ok, stava bene. Era di buon umore. Doveva uscire con un tipo, uno simpatico.”
“Scusa, hai per caso un bagno?”
La parrucchiera sembrò presa alla sprovvista. “Sì, là in fondo, ti faccio vedere.”
Sensi si era già lanciato da quella parte. La parrucchiera lo vide entrare come una furia e poi sentì l’inconfondibile rumore di qualcuno che vomita.
Si sedette sullo sgabello che c’era nella minuscola anticamera del bagno, sotto alle giacche delle clienti.
Dopo qualche secondo lo strano poliziotto uscì fuori.
“Scusa, ho fatto indigest-“
“È morta, giusto?”
Il poliziotto si voltò e vomitò ancora.
La parrucchiera sentì tirare lo sciacquone e l’acqua del lavandino che scorreva, poi l’uomo riemerse.
“Sì,” disse.
La parrucchiera si morse un labbro. “Cazzo,” mormorò. “È stato quel tizio, quello simpatico?” chiese, con voce rotta.
Sensi scosse la testa.
“Eri tu quel tizio simpatico?” chiese, allora, lei.
“Dovresti entrare in polizia.”
“Il sangue mi fa impressione.”
Sensi si asciugò un po’ d’acqua dal mento usando la manica del giubbotto.
“Che tu sappia c’era qualcuno che la disturbava? Che le dava noia, la tampinava, non so?”
La parrucchiera ci pensò per qualche minuto. “Aveva un ex-ragazzo. Ma quello più che altro era un imbecille. Le aveva fatto le corna, Erica ci era rimasta malissimo.”
“Qualcun altro?”
“C’era un matto che abitava nel suo palazzo,” disse la parrucchiera. “Be’, che era un matto lo dico io, a Erica stava simpatico. Le portava cose da mangiare, roba così.”
“E perché era un matto, secondo te?”
L’altra si strinse nelle spalle. “Impressione. Uno non ti porta da mangiare se non ha in mente qualcosa, ma Erica diceva che era solo amichevole. Personalmente non ho mai incontrato un tizio amichevole che non mi volesse entrare nelle mutande.”
Sensi fece un piccolo sorriso.
“Proprio così,” disse l’altra, indicandolo. “Esattamente quel tipo di sorriso amichevole.”
“Continuo a pensare che dovresti fare lo sbirro.”
“Questo perché non hai mai visto come faccio i capelli.”
L’altro sorrise ancora, poi si tirò un foglio fuori da una tasca. “Poteva chiamarsi Davide Nicosia?” chiese.
La parrucchiera si mordicchiò ancora un labbro. “Davide, Roberto, una cosa così. Non ho memoria per i nomi.”
“Ok, grazie.”
La parrucchiera si alzò.
“Di niente, bello. Se decidi di tagliarti i capelli fammi un fischio. Quel colore ce l’ha uno su un milione.”

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