lunedì 15 giugno 2009

Una linea d'ombra - 14

I Servizi Sociali avevano degli uffici in una costruzione isolata all’angolo tra via Fiume e viale Aldo Ferrari. Era un palazzotto circondato dagli alberi, probabilmente del 1800 o degli inizi del ‘900, che era occupato per metà dalla ludoteca cittadina.
Sensi parcheggiò la sua macchina nel minuscolo cortile, bloccandone un altro paio. Con un po’ di fortuna una delle due poteva essere quella dell’assistente sociale che cercava, che così non avrebbe potuto svignarsela.
All’accettazione un tizio vestito da postino gli disse che Elena Turri era fuori servizio.
Sensi non fece una grinza e chiese della sua collega, tale Datterio.
Ma anche lei, sfortunatamente, era fuori servizio.
“Allora mettiamola così: c’è un qualunque assistente sociale con cui possa parlare, all’orario sconveniente delle…” diede un’occhiata all’orologio “…quattro e venti del pomeriggio?”
“Se avesse preso un appuntamento…” disse il postino, con aria sconfortata.
“E la segretaria?” provò Sensi.
“Dovrebbe aver staccato proprio…”
Una donnetta rotonda e agitata fece il suo ingresso proprio in quel momento da una porta laterale: “C’è un fuoristrada che mi blocca l’uscita!” esclamò, rivolta al postino.
“Mi dia una buona notizia: è lei?” chiese Sensi, nello stesso momento.
“Sì,” ammise il postino, che chiaramente si pentiva di non essersene andato mezz’ora prima.
Sensi rivolse alla donna un sorriso largo come quello di uno squalo. “Che fortunata coincidenza. Cercavo proprio lei!”
Lei sospirò, evidentemente seccata, e guardò l’orologio. “Be’, è un po’ tardi, me ne stavo andando. Per le consulenze individuali…”
Sensi le piazzò il distintivo davanti al naso. “Io lo chiamerei più ‘interrogatorio informale’, ma può dargli il nome che preferisce. In quanto al fatto che se ne stava andando, le devo rivelare un piccolo segreto. Sa il fuoristrada che le blocca la strada? È il mio.”
La segretaria fece quasi un salto all’indietro, poi si infilò un paio di occhialetti a mezzaluna per leggere quello che c’era scritto sul distintivo.
“Commissario capo Ermanno Sensi. Credo che abbia un paio di minuti per ricevermi. A meno che non voglia tornare a casa a piedi, è ovvio.”
L’altra sospirò. “Be’, poteva dirlo subito. Venga.”
“A dire il vero stavo pensando di farmi prestare un paio di ganasce dalla stradale. Inizio a credere che, se continuerò a frequentare i Servizi Sociali, mi saranno utilissime.”
La segretaria, sconfortata, gli fece strada attraverso una porta di servizio e poi su per una scaletta stretta e male illuminata. Se quella era l’area aperta al pubblico, chissà com’erano le cantine. Forse c’erano le bare delle assistenti sociali Turri e Datterio.
Finalmente arrivarono in un piccolo ufficio dal tipico stile istituzionale: faldoni ovunque e poster squallidi alle pareti. La segretaria si incastrò dietro alla scrivania e accese il computer.
“Allora,” disse.
Era una donna sulla cinquantina, con dei capelli rosso scuro che formavano una specie di bolla sopra la sua testa e una collana a grosse palle azzurre.
“Credo di aver parlato con lei ieri. Omar Gomez.”
L’altra annuì. “Sì, il ragazzo di Teresa e Morelli.”
“Il padre naturale?”
La segretaria scosse la testa. “Tornato a San Salvador, credo. Ma anni fa. Nell’ultimo decennio Teresa è stata insieme a Moreno – Morelli, voglio dire.”
“Sì, sono stato a casa loro.”
“Una situazione difficile.”
Sensi rise. “Se quella è difficile chissà come sono quelle fottutamente incasinate.”
Rise anche la segretaria. “Ha visto anche il piccolino?”
“All’inizio pensavo che fosse un bambolotto. Comunque, lei ne sa qualcosa della denuncia che ha fatto il giovane Gomez?”
L’altra scosse di nuovo la testa. “Sa, dovrebbe parlarne con la Turri. Il caso è suo.”
“Inizi a parlarmene lei. È la segretaria, le segretarie sanno sempre tutto.”
Forse la blanda forma di adulazione ebbe qualche effetto, perché la donna si piazzò gli occhialetti sul naso con fare professionale e iniziò a digitare sul computer.
“Lasci perdere quell’affare. Mi dica che cosa ne pensa lei.”
L’altra sembrò presa alla sprovvista. “Be’, ecco.”
“Erano stronzate o c’era qualcosa di vero?” incalzò Sensi.
“Insomma, non saprei. Se devo dire che qua ci hanno creduto tutti…”
“Ok, erano stronzate. È la stessa conclusione a cui sono arrivato anch’io. Parliamo della Buscetta, adesso. La conosce?”
La segretaria aggrottò la fronte. “Non bene. L’ho vista qualche volta, suppongo. Non mi sembra la tipa da… be’, ecco. Comunque, era anche per questo che qua eravamo tutti scettici.”
“Già. Adesso vengono le domande difficili, si prepari,” le disse Sensi, sporgendosi leggermente verso di lei. “Ci sono state delle chiacchiere? Qua, dico, in questi uffici?”
“C-che genere di…”
“Su questa storia. Era una di quelle cose di cui si parla, su cui si fanno commenti?”
“Non credo di…”
“Avanti, capisce benissimo. Un mese fa abbiamo trovato il corpo di uno che si era fulminato infilandosi un arricciacapelli nel sedere… in questura lo sapevano anche i muri. Se ne parlava alla macchina del caffè, in mensa, in ascensore.”
La segretaria sorrise. “Cioè, proprio…”
“Dritto nel culo, manico compreso. Si è fulminato, ma sarebbe anche sopravvissuto se non fosse scivolato sulle mattonelle del bagno.”
“Pazzesco.”
“Già. E le potrei raccontare di quella che è arrivata per denunciare il marito che le aveva nascosto il telecomando.”
“No! Ed è perseguibile?”
“Non ne ho idea. Le ho consigliato di comprarsi un telecomando universale e di tenerselo sempre in borsetta.”
“Buona idea.”
Sensi tornò a rilassarsi contro lo scomodo schienale della sua sedia. “Ora, quello che voglio sapere è questo: era una di quelle storie?”
“Be’, non proprio. Se n’è un po’ parlato. Riccardi ha detto che se la Buscetta gliel’avesse fatta a lui, la… hem…”
“Sega?” propose Sensi.
“Già. Ecco, Riccardi non si sarebbe lamentato.”
“È quello che ha detto anche l’ispettore Mainardi.”
“Sì, lei è una ragazza carina.”
Sensi soffocò un conato di vomito. Obbiettivamente, non poteva continuare così.
“Si sente bene?”
“Benissimo, ho mangiato un po’ pesante. Quindi diceva che un po’ se ne è parlato.”
L’altra scrollò le spalle. “Un po’.”
“Bene, adesso provi a ricordarsi… chi c’era, quando ne avete parlato? Questo Riccardi, e poi?”
“Ma perché…?”
“Glielo spiego dopo, si concentri.”
La segretaria strizzò gli occhi dietro gli occhialetti a mezzaluna, segno che si stava sforzando.
“Be’, la Turri, forse la Datterio…”
Quindi, pensò privatamente Sensi, ogni tanto anche la Turri e la Datterio comparivano. “Chi altro? Qualche utente?”
“Può darsi… non me lo ricordo. Ma gli utenti non potevano sapere di chi stavamo parlando.”
“Un ragazzo spastico?”
L’altra scosse la testa. “Lo escludo.”
“Allora mi faccia un ultimo favore. Potrebbe controllare se c’è qualcuno dei vostri utenti che abita nei dintorni di via Milano? Vanno bene anche via Napoli, via Roma…”
“Tutta la zona a sud di piazza Brin, giusto?”
Sensi annuì.
La segretaria iniziò a digitare sul computer, concentrata. Andò avanti per dieci minuti buoni, mentre il commissario guardava il soffitto.
Dopo un po’ la vetusta stampante sulla scrivania della segretaria si mise in moto, e ne uscì un foglio pieno di nomi.
“Il fatto è che non so se le posso dare questi nomi,” disse la donna, con aria dubbiosa.
Sensi prese il foglio e se lo cacciò in tasca.
“Può sempre dire che un pericoloso psicopatico minacciava di bloccare la sua auto per sempre,” offrì, prima di scivolare via.

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