venerdì 12 giugno 2009

Una linea d'ombra - 10

Il commissario non era mai stato, per quel che ne sapessero i suoi uomini, una persona dal carattere solare. Nelle giornate di buonumore, che erano rare come le giornate serene di Spezia, era irritabile, sarcastico e vagamente indisponente.

Quando era di cattivo umore, ossia abbastanza spesso, era l’equivalente umano di un cactus, solo vestito come un gotico.

Ma la squadra mobile raramente l’aveva visto di un umore così nero e così poco loquace.

Da quando avevano trovato, su segnalazione di un vicino, il cadavere della Buscetta, il capo si era limitato a monosillabi funerei e a occhiate cupe.

Tudini aveva provveduto a indire una riunione nel suo ufficio ed era andato personalmente a recuperare Sensi nel suo.

L’ufficio di Tudini era il classico luogo da impiegato pubblico. La scrivania era un po’ in disordine, ai muri c’erano degli scialbi poster di paesaggi, le poltroncine erano lise e il computer era di un modello già vecchio quando era uscito dalla fabbrica.

“Il medico legale non ha ancora effettuato un’autopsia della vittima – è fissata per lunedì mattina,” iniziò Tudini, in piedi accanto alla sua scrivania con il taccuino in mano. “Ma ha eseguito alcuni rilievi preliminari. La Buscetta è stata colpita ripetutamente alla testa con un corpo contundente non identificato di forma tubolare, forse una spranga o un tondino di ferro. La natura ripetuta dei colpi indica che non può trattarsi in alcun modo di un incidente domestico, per cui l’abbiamo classificato come omicidio. La morte è sopraggiunta nelle ultime ore della notte o nelle prime ore del mattino, ed è stata pressoché istantanea.”

“Ci sono ferite da difesa?” chiese la Riu, che se ne stava in piedi accanto alla porta.

“Il polso destro è fratturato, quindi probabilmente l’assassino l’ha colpita mentre cercava di fermarlo.”

“La porta non presenta segni di scasso,” disse Mainardi, sfogliando a sua volta un taccuino. Sensi, per una volta, non sembrò minimamente infastidito dagli onnipresenti supporti cartacei. Si limitò a restare appoggiato alla porta, a sinistra della Riu, senza emettere una parola. Cosa che poi aveva fatto fin dalla mattina. “Quindi dobbiamo presumere che abbia lasciato entrare l’assassino volontariamente,” continuò Mainardi.

“O che l’assassino fosse già lì con lei,” aggiunse Tudini. “Il medico legale ha detto che nelle ore precedenti alla morte la Buscetta ha avuto uno o più rapporti sessuali, apparentemente consensuali.”

“Questo lo sappiamo già,” intervenne Mainardi. “Non ci interessa.”

Tudini aggrottò le sopracciglia, ottenendo il risultato di assomigliare in modo inquietante a un primate pensoso. “Insomma, direi di sì, invece. Ma il partner sfortunatamente ha usato il preservativo.”

“Be’, qua dobbiamo metterci d’accordo,” interloquì Mainardi, “non possiamo dire una volta che usare il preservativo previene l’AIDS e la volta dopo dire che usare il preservativo ostacola le indagini per omicidio. Mandiamo un messaggio contraddittorio.”

“Mainardi, ma hai bevuto?” ribatté Tudini.

“Dico solo che la prossima volta che andrò a fare prevenzione del crimine in una scuola…”

“Basta, Mainardi.”

Tudini, la Riu e Mainardi si voltarono verso Sensi, che aveva appena parlato con voce seccata e si era staccato dalla porta.

Il commissario si andò ad appoggiare alla scrivania di Tudini e fece scrocchiare le ossa del collo.

“Ci sono andato a letto io, questa notte. Ma non è stata un’esperienza così tragica da farmela uccidere questa mattina. Anche perché lo sapete come sono, alla mattina: non sono in grado di fare alcunché.”

Il resto della squadra lo fissò in silenzio per vari secondi, ognuno elaborando un diverso scenario mentale.

Tudini, che era pragmatico e devoto, iniziò a pensare ai possibili risvolti processuali, nel caso che avessero preso l’assassino.

La Riu rimosse coscienziosamente dal proprio cervello qualsiasi immagine mentale del capo nudo che faceva porcherie, riuscendoci solo in parte.

Mainardi si sparò un film completo, con tanto di rumori e effetti speciali, che terminava con la Buscetta che aveva uno strepitoso e ululante orgasmo.

“Me ne sono andato verso le quattro, e la porta era chiusa. Questo, più o meno, è tutto,” aggiunse Sensi.

La Riu scosse la testa. “Cristo santo, commissario,” iniziò a dire.

“Cristo santo, ispettrice,” replicò Sensi, sarcastico. La Riu mise prontamente il broncio, ma se ne restò in silenzio.

“Ora,” continuò Sensi, tirandosi indietro i capelli, “forse la mia coscienza non è candida come un giglio, ma credo che ci sia almeno una persona collegata a questo caso con la coscienza un po’ più sporca della mia.”

“Il ragazzino,” disse Tudini. “Omar Gomez. Ci stavo pensando anch’io.”

Sensi si staccò dalla scrivania. “Bene, andiamo a sentire che cosa ha da dire.”

“Commissario,” lo bloccò la Riu, “è sicuro che sia una buona idea che sia lei a interrogarlo?”

L’altro sollevò i palmi delle mani. “Penso che sia un’idea di merda, in realtà, ma credo che lo farò lo stesso. Sa, svegliarmi la mattina con le mani che sanno ancora dell’odore di una donna morta mi fa girare un po’ i coglioni.”

La Riu aprì la bocca per replicare, ma Sensi la fermò. “A meno che quella donna morta non sia un’ispettrice di polizia, è chiaro. In quel caso potrei anche conviverci. E adesso corra a farmi rapporto e si levi dalle palle.”

“Sissignore,” ringhiò la Riu, e si allontanò a passi lunghi e rigidi.

Sensi si passò una mano sulla faccia. Probabilmente aveva un po’ esagerato.

“’Fanculo,” borbottò, e recuperò il giubbotto.

3 commenti:

paolo raffaelli ha detto...

Mi stai viziando, cara. :D

Susanna Raule ha detto...

vi sto viziando tutti, brutti cialtroni :)

Luca Bonisoli ha detto...

Molto bello.
Non vedo l'ora di leggere il seguito.