lunedì 4 maggio 2009

Sette, morto che parla - 6

Arrivai in questura verso le undici e un quarto. Immagino che ti stia rodendo dalla curiosità di sapere come avevo fatto a essere così veloce.
Be’, non è un segreto.
Basta non lavarsi e infilare i vestiti del giorno prima, mutande e calzini a parte.
La questura è un grosso edificio semi-nuovo, un cubo di vetro a specchio piazzato su un viale alberato. Di fronte abbiamo un parco dove di giorno giocano i bambini, si trastullano i nostri rari pedofili e passeggiano i nostri numerosi anziani signori. La Spezia è composta al novanta percento di vecchi, me ne sono accorto non appena trasferito. Dal mio punto di vista è un fattore piuttosto positivo (di vecchietti criminali non ce ne sono molti), tuttavia può causare qualche problema al momento di trovare una partner sessualmente disponibile.
Le spezzine, tra l’altro, sono famose per non darla.
Insomma di fronte alla questura c’è questo parco recintato. Per fortuna il mio ufficio dà sugli squallidi edifici sul retro. Ho un pessimo rapporto con la natura.
Vi entrai, come dicevo, intorno alle undici e un quarto. Tudini mi stava aspettando, aggirandosi nel il corridoio con aria tormentata.
«Ermanno!» mi corse incontro, non appena mi vide apparire.
Frenai ogni eccesso di zelo spingendogli una mano davanti al naso.
«Dopo una Red Bull,» ordinai, e scomparvi nel mio antro.
Credo di aver omesso che avevo un orrendo mal di testa. La sera prima avevo bevuto il giusto, ma avevo fumato troppo e avevo impegnato una quota troppo consistente delle mie immense risorse cerebrali tentando di portarmi a letto una tizia. Avevo scoperto che era spezzina solo dopo quasi due ore di frasi brillanti e disgustoso servilismo, e avevo gettato la spugna senza insistere oltre.
Mi ero da tempo reso conto che le spezzine, il sabato sera, si spingono fino a Forte dei Marmi apposta per non dartela. Il locale, un orrore pseudo-gotico grande come il buco del culo di una gallina, oltre tutto aveva iniziato a riempirsi quando avevo già perso ogni speranza, quindi immagina il divertimento.
Tudini entrò nel mio ufficio con una lattina di Red Bull già stappata, servizievole, e la appoggiò sulla scrivania, nell’unico angolo casualmente sgombro dalle carte.
Ne bevvi un paio di sorsi e mi lasciai cadere nella mia sedia, indicando a Max quella che poteva usare lui.
Considera che il mio vice assomiglia al famoso anello di congiunzione tra l’uomo e la scimmia e capirai che di prima mattina non era una visione molto gradevole, tuttavia la tollerai con stoicismo.
«Hanno trovato un’altra ragazza con la pancia aperta,» dissi.
«Sì,» confermò Tudini, «sopra Aulla.»
«Eccezionale. Il nostro amichetto si spinge sempre più a nord. Se abbiamo culo tra un po’ saranno problemi dei parmigiani.»
Tudini, come forse ti ho già detto, non sa mai come replicare al mio humor. Rimase in silenzio.
«Era nuda e insacchettata,» continuai, quindi.
«Già. Bozza ha chiamato i RIS di Parma.»
«Ma che bella cosa. Proprio come alla tv, eh?” Mi strofinai gli occhi. «Suppongo che dovremmo andare a dare un’occhiata.»
Max parve sollevato.
Come se mi volessi perdere quel caso.

2 commenti:

paolo raffaelli ha detto...

Ami le spezzine, è chiaro. :)

Susanna Raule ha detto...

cerco di descrivere i fatti in modo obiettivo, tutto qua :)