lunedì 4 maggio 2009

Sette, morto che parla - 5

[Dopo quella faccenda di Bua ho iniziato a sospettare di essere un pochino diverso dagli altri.
Sono sempre stato un bambino molto silenzioso. Da piccolo non piangevo, non ho mai dato fastidi ai miei genitori. (A parte quella volta in cui mi scoprirono mentre davo fuoco a un rotolo di carta igienica, al bagno delle elementari. Ma non potevo certo prevedere che la maestra sarebbe entrata nel bagno dei maschi, no?)
Anche adesso non parlo molto. Non ho molti amici, anzi, potremmo dire che non ne ho neanche uno, se escludiamo Sara, e lei la considererei più la mia fidanzata.
Vorrei spiegarti come ci siamo conosciuti. È una storia un po’ lunga, spero che avrai pazienza con me.
In un certo senso Sara è stata un regalo della cosa.
A quattordici anni ho provato a fare delle cose con gli esseri umani. C’era una mia compagna di classe che mi piaceva molto.
Aveva i capelli neri, e io amo i capelli neri. Anche Sara li ha.
Questa mia compagna si chiamava Carlotta. Se devo essere sincero non mi calcolava affatto. Nessuno mi calcolava un granché, a quei tempi. (Sì, neanche ora, ed è una vera fortuna.)
Carlotta abitava nelle case popolari dall’altra parte del quartiere. Lo sapevo perché l’avevo seguita, un paio di volte.
La cosa dentro di me aveva fretta, ma io ero stato bravo e avevo aspettato.
Ho aspettato ed ho aspettato, finché non è arrivato il momento giusto. Il momento perfetto. Ideale.
Quando il momento è arrivato – la cosa dentro di me urlava di fare presto – ho offerto a Carlotta una sigaretta e le ho proposto di andarcela a fumare in un posto meno pubblico della strada.
Carlotta voleva la sigaretta e non voleva che qualcuno la vedesse che fumava.
Io me ne sono sempre sbattuto di queste cose.
L’ho portata nel mio posto, potevi dubitarne?
Ora non pensare che il mio posto fosse un luogo sgradevole. Certo, era un angolo di cortile, nascosto da un muretto semi-diroccato. Certo, ci crescevano delle erbacce. Ma io sono sempre stato un tipo ordinato, e avevo tolto tutta la spazzatura e tutte le ossa degli animali.
Ci siamo seduti dietro al muretto e ci siamo accesi due delle mie sigarette.
Vedevo che Carlotta non sapeva cosa dirmi, e penso che sospettasse il mio interesse romantico nei suoi confronti, solo che non sapeva che era la cosa a essersi infatuata, non io.
Ha provato a imbastire una conversazione, ma come ti dicevo io non sono un grande chiacchierone. Quando eravamo a metà sigaretta ho buttato via la mia e l’ho bloccata per terra. Sono magro, ma più forte di quel che crederesti. Le ho intrappolato i polsi con una mano e con l’altra ho tirato fuori il coltello.
Era un bell’oggetto, da me regolarmente manutenzionato, un serramanico di sette centimetri (un caso?) la cui lama avevo affilato a dovere.
Carlotta lanciò un grido, uno solo, strozzato. Le sollevai la gonna e le feci un taglio sulla coscia. Oh, il suo sguardo terrorizzato…
Ero così su di giri che me ne venni nelle braghe, e così me la lasciai scappare. Carlotta corse via tenendosi goffamente una mano tra le cosce. Vidi sul cemento crepato alcune gocce del suo sangue.
Ancora adesso, se ripenso a quel momento, mi sento invadere dal calore.]

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