giovedì 7 maggio 2009

Sette, morto che parla - 14

La cosa positiva di essere a capo di una squadra è che nessuno può azzittirti, neanche se pensa che tu stia delirando.

E l’ispettrice Riu lo pensava sicuramente.

Bassa, tarchiata e con corti capelli biondi, velista dilettante perpetuamente abbronzata e sportiva, la Riu mi faceva un po’ paura. Mentre esponevo la mia teoria mi guardava con l’aria di chi sta subendo delle torture psicologiche.

Il fatto è che la Riu mi aveva detestato fin dal primo giorno.

Sono troppo pallido, tormentato e stravagante per i suoi standard da cavernicola. E le ho ingenuamente confidato che detesto la barca a vela.

Gli altri miei valenti sudditi (definizione mia) mi ascoltavano con espressioni che variavano dall’educata cortesia, al perplesso scetticismo. L’unico che mi appoggiava senza riserve era Tudini, il che non era molto confortante.

«…ho telefonato a quella sorta di pseudo-patologo che hanno ad Aulla…» stavo dicendo.

«Non è un patologo, è un medico generico che si presta a…» puntualizzò Mainardi, pedante come suo solito.

«…E gli ho strappato un possibile momento del decesso per la nostra vittima numero 3,» continuai, senza badargli. «Potrebbe essere verso dicembre. Tudini, tu che hai guardato i fascicoli delle persone scomparse, ti risulta una ragazza vista l’ultima volta il 3 o il 4 dicembre?»

«Ma Ermanno!» esclamò lui, con aria sconvolta.

Sorrisi lentamente. Era meglio di Watson, in quanto ad espressioni stupefatte.

«Non so come fai a saperlo, ma una certa Katia Rosati è scomparsa proprio il 4!» dichiarò, sbigottito.

«Quattro dicembre. 4, 12. Ovvero 4 + 1 + 2 = 7.»

Questa volta non fu solo Tudini a guardarmi con gli occhi fuori dalle orbite.

Mi strinsi nelle spalle, minimizzando il mio genio. «A questo ragazzo piace il numero sette

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