giovedì 7 maggio 2009

Sette, morto che parla - 13

[Lei si mosse.

Iniziò col muovere una gamba, cercando di scrollarmi via. Poi la testa, divincolandosi come se non riuscisse a respirare.

Mi sollevai su un gomito ed osservai i suoi occhi aperti e furiosi.

Erano, me ne accorgevo solo in quel momento, blu.

La sua gola era squarciata da un capo all’altro, la sua pancia era aperta come quella di un pesce, i suoi seni, le sue cosce, le sue braccia erano segnati da numerosi tagli. Sotto di lei c’era una pozza di sangue di dimensioni più che rispettabili.

Avevo appena finito di, be’, puoi immaginare di far cosa.

Oltre a questo avevo appena finito di ucciderla.

Lei non poteva essere viva.

Eppure la era.

Sospirai. Armato di santa pazienza (e di un lungo coltello) le infilzai il cuore. Non che il muscolo si stesse muovendo. Non c’era la minima ombra di un battito.

Tuttavia io, coscienziosamente, la infilzai più volte. Zac, zac,zac.

Sbirciai la sua faccia, per vedere se c’era qualche segno di… be’, morte. Non ce n’era.

La mia preziosa vittima numero sette continuava a divincolarsi e a roteare gli occhi. La mia impressione era che fosse incazzata nera.

Sospirai di nuovo e mi arresi all’inevitabile. Le staccai dalla bocca il nastro adesivo.

Forse, a scuola, ti hanno fatto studiare i miti greci. Se è così avrai senza dubbio familiarità con quello di Pandora e del vaso che le fu affidato da Zeus. Dentro il vaso c’era tutto il male del mondo, e non doveva essere aperto.

Pandora, che era una curiosona, non appena Zeus le volta le spalle che cosa fa?

Ovvio: dà una sbirciatina, giusto per farsi un’idea.

Solo che tutto il male del mondo esce e si diffonde sulla terra. Mi piace pensare che un pezzo di quel male iniziale sia finito, chissà attraverso quali riciclaggi, anche dentro di me.

Ma sto divagando.

Quando staccai il nastro dalla bocca della mia vittima numero sette fu come aprire il vaso di Pandora, nel senso che non avevo mai sentito tutte insieme tante parolacce e oscenità. E, come avrai capito, non sono certo uno stinco di santo.

Seduto nel suo sangue a gambe incrociate, aspettai che il più fosse passato. Sfortunatamente quando le avevo tagliato la gola non ero arrivato fino alle corde vocali.

«Cristo, smettila!» sbottai, alla fine.

«Smettila tua sorella! Mi hai fottuta e sgozzata, e non hai avuto neanche il buon gusto di farlo in due momenti diversi!» ribatté lei.

Tutta la scena stava diventando surreale.

«Dovresti essere morta,» le feci notare, anche se non pensavo che ce ne fosse bisogno. Ma al momento mi sentivo stranamente insicuro. «Tutte le altre sono morte,» aggiunsi, quindi, a conferma della mia affermazione.

«Ah!» disse lei, come se mi avesse colto con le mani nella marmellata (invece erano, credo di averlo già detto, nel suo sangue). «Quindi non sono la prima!»

«Dovresti essere contenta. Con le altre ho fatto esperienza,» replicai. Sentivo che mi stava sfuggendo il punto.

A questo, in effetti, seguì un’altra scarica di improperi. Non avevo mai sentito nessuno insultare Nostro Signore con più entusiasmo.

«Vorrei che mi spiegassi perché non sei morta,» insistetti, quando anche questa crisi sembrò aver superato il suo culmine.

«E che cazzo ne so io!» rispose lei, sempre con gran garbo.

Mi passai entrambe le mani tra i capelli.

«Merda,» borbottai. Mi rialzai in piedi e ripetei, tanto per andare sul sicuro: «Merda.»

Ora, non so se hai mai provato a rimanere seduto per un po’ in un lago di sangue (se sì, mi piacerebbe scambiare con te alcune opinioni professionali), ma tende a diventare una faccenda alquanto sgradevole.

Il sangue si secca formando una sorta di sottile crosta. Là dove ci sono dei peli sembra trovare il suo habitat naturale.

Osservai con puntiglio le condizioni del mio corpo. L’unico punto in cui non ero coperto da una sottile crosta di sangue era il gomito sinistro, chissà perché.

Anche parte dei capelli erano miracolosamente sopravvissuti.

Il punto è che tanto mi piace il sangue fresco tanto non posso sopportare quello secco. Tirai fuori il tubo di gomma dall’armadio, lo collegai al rubinetto dell’acqua e iniziai a risciacquarmi coscienziosamente.

Nel frattempo la vittima numero sette non taceva un istante.

Per la maggioranza erano insulti rivolti a me, ma c’era anche qualche sporadica variazione nei confronti di Dio e del mondo.

Iniziavo ad avere una teoria per la sua non-morte. Probabilmente un elemento del genere non lo volevano neanche all’Inferno.

«Se la pianti di strillare ti do una sciacquata,» le comunicai. L’avrei fatto comunque, odio i cadaveri insanguinati, ma non mi sembrava il caso di dirglielo. E poi lei non era un cadavere in senso stretto.

La annaffiai con la canna dell’acqua. La gran parte del sangue scivolò via dal pavimento verso lo scolo in un angolo, tuttavia non c’era modo di pulire completamente senza rimuoverla dal pavimento.

Ero terribilmente seccato.

«Slegami le mani!» stava iniziando a pretendere, nel frattempo, lei.

«Fossi scemo,» replicai. «Non che tu possa andare chissà dove con la pancia aperta come quella di un pesce, vero? Se fossi in te eviterei di alzarmi.»

«Stronzo,» disse lei. Era stato amore a prima vista.

Mi strinsi nelle spalle e iniziai ad asciugarmi. «Dico per te. Non vorrai dovertene andare a zonzo con l’intestino in mano.»

La mia osservazione parve colpirla.

«Mi devi ricucire!» strillò.

Mi infilai i boxer e i jeans. «A dire il vero non devo fare proprio niente. Se ancora non l’hai capito, io non sono una brava persona

«Non puoi lasciarmi così!» protestò.

Le sorrisi largamente. Io non sono un tipo che sorride spesso, pertanto mi manca un po’ di pratica e i miei sorrisi non riescono mai del tutto bene. Assomigliano più che altro all’imitazione di un sorriso, se capisci cosa intendo.

«Perché no? Potrei tenerti qua e ritornare ogni volta che mi viene voglia. Non dovrei nemmeno più sbattermi a trovare una vittima nuova.»

Se ci pensi il mio ragionamento non faceva una grinza.

«E se entrassero degli animali?» disse lei. «E se mi… mangiucchiassero? Se mi mettessi ad urlare e mi trovasse qualcuno? E se…»

«E se ti imbavagliassi di nuovo?»

Mi accucciai accanto a lei e osservai le sue ferite. Erano pulite e asciutte, ma non sembravano in via di rimarginamento. Certo, avevo fatto proprio un bel lavoro, pensai, con orgoglio.

La accarezzai con una mano e lei ricominciò a protestare.

«Andrò a cercare ago e filo,» mi arresi. E la azzittii di nuovo con il nastro adesivo.]

1 commento:

Luca Bonisoli ha detto...

...sì, "surreale" è proprio la parola giusta...