lunedì 25 maggio 2009

Lo strano caso del pappagallo fantasma - 7

Il telefono continuava a suonare a vuoto. Il commissario Sensi, tallonato da una Carmel che ondeggiava sugli alti tacchi dei suoi stivali, aveva percorso tutti i portici che circondavano piazza Brin sui quattro lati, senza mai sentire niente. Il quartiere Umbertino era uno dei pochi esempi di urbanistica spezzina sensata e ordinata. Si estendeva sotto alla massicciata della stazione in larghi isolati regolari fino alle mura dell’arsenale militare. Sensi sperava di non doverlo frugare da cima a fondo. Aveva vagato per la piazza in lungo e in largo, ignorando gli spacciatori che portavano avanti il loro commercio dalle panchine. Aveva infilato il naso in tutti i negozi, chiedendo se sentivano un telefono che squillava, guadagnandosi una serie di occhiate perplesse.
“Forse ha la suoneria disattivata,” commentò, alla fine. Poi fu colto da un pensiero. “Forse è per questo che non risponde. Forse è dovuta uscire per un’emergenza e si è portata dietro il suo pappagallo impagliato per farsi coraggio.”
Ora era Carmel che lo guardava perplessa.
“Ah, lascia stare. È molto più probabile che quei deficienti abbiano sbagliato a localizzarlo.”
“Stiamo cercando un cellulare, giusto?” ribatté lei.
“Già.”
“E perché non abbiamo guardato nell’iglesia?”
A Sensi servì qualche secondo per capire che “l’iglesia” era la chiesa. In effetti ce n’era una su un lato della piazza, brutta e grande, con la facciata ricoperta di cemento bugnato grigio.
“Già,” ripeté. “Perché non ci abbiamo guardato?”
La chiesa di Nostra Signora della Salute aveva un portone di ferro aperto e, più all’interno, delle porte laterali chiuse da delle tende.
Sensi sembrò esitare un attimo prima di entrare.
Se fuori l’aria era frizzante, dentro era praticamente gelida. Il pavimento di marmo e le navate erano illuminate fiocamente e c’era il caratteristico odore di incenso e acqua santa, mescolato a qualcosa di più terreno, che poteva essere detersivo.
Sensi si guardò intorno con aria circospetta, mentre Carmel si faceva devotamente il segno della croce. Non c’era nessuno.
Sensi ripeté l’ultima chiamata con il suo cellulare.
All’inizio non si sentì niente.
Poi, lentamente, iniziò a percepire qualcosa. Era come uno strano ronzio, il rumore di qualcosa che vibrava contro il legno.
Si guardò attorno, cercando di localizzarlo.
“Lo senti?” mormorò.
“Cosa?” fece Carmel.
Sensi scosse la testa. La sua ombra, sul pavimento di marmo, assomigliava a quella di un uomo che ride sguaiatamente, tenendosi la pancia. Anche se forse “uomo” non era la definizione più adatta. Carmel avanzò verso una delle navate.
Sensi andò dall’altra parte, verso un confessionale.
Il suono veniva da là, ora ne era sicuro. Spostò con una certa cautela la tenda, sperando che dentro non ci fosse un prete mezzo sordo che avrebbe insistito per confessarlo. In quel caso la faccenda avrebbe potuto protrarsi a lungo.
L’interno era vuoto. Sull’inginocchiatoio di legno, però, c’era un cellulare argentato, che vibrava forsennatamente. Sensi lo raccolse e vide il proprio numero di telefono sul display.
“Trovato,” disse. Carmel, dall’altro lato della chiesa, si voltò dalla sua parte.

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